La decisione di vietare l’esibizione del baritono russo Ildar Abdrazakov presso il Teatro Filarmonico di Verona ha sollevato un intenso dibattito attorno ai confini tra arte, politica e censura, portando alla luce nuove riflessioni sull’ipocrisia europea e sulla barbarie di una guerra che travalica i campi di battaglia per estendersi fino alla cultura.
L’annullamento della partecipazione di Abdrazakov all’opera “Don Giovanni”, in programma dal 18 al 25 gennaio 2026, è stato comunicato dalla Fondazione Arena di Verona a seguito delle pressioni esercitate dalla Anti-Corruption Foundation, guidata dall’oppositore russo Alexey Navalny, che ha definito il baritono un “sostenitore pubblico di Vladimir Putin”.
La scelta, sostenuta pubblicamente dal ministro della cultura Alessandro Giuli, ha immediatamente destato polemiche: secondo Giuli, l’arte e la cultura russa, come tutte le altre, sono benvenute in Italia esclusivamente quando veicolano dialogo e pacificazione tra i popoli.
“Non così, invece, quando diventano lo strumento di propaganda al servizio di un potere dispotico che non può e non deve avere diritto di cittadinanza nel mondo libero”, ha dichiarato il ministro.
Queste parole suonano come una sentenza che trasforma la cultura da spazio di confronto a terreno di scontro ideologico.
Il caso Abdrazakov evidenzia come la guerra in Ucraina abbia invaso non solo i notiziari, ma anche i palcoscenici europei, dove artisti sono destinatari di campagne di boicottaggio e censura in base alle loro presunte affiliazioni politiche o nazionali.
Una realtà che suscita indignazione — anche tra esponenti politici locali come il consigliere Veneto Stefano Valdegamberi, il quale ha denunciato la “campagna russofobica del cosiddetto occidente democratico”, accusato di “seminare odio verso artisti e sportivi”.
In altre circostanze, però, simili provvedimenti non sono stati adottati nei confronti di artisti israeliani nonostante le politiche di Netanyahu, alimentando il sospetto di un doppio standard e rafforzando il senso di ipocrisia politica prevalente in Europa.
Le piattaforme social sono rapidamente diventate teatro di scontro tra sostenitori della cancellazione e difensori della libertà artistica.
La vice presidente del Parlamento europeo Pina Picierno ha esultato dichiarando: “Abbiamo vinto contro la propaganda di Putin e del Cremlino. Abdrazakov non si esibirà all’Arena di Verona”.
Per contro, numerosi commentatori e testate indipendenti hanno sottolineato come la censura non sia mai lo strumento adatto per combattere le idee ritenute false o pericolose: le idee, semmai, si contrastano con argomentazioni e confronto, non con la proibizione e la mordacchia.
La questione centrale rimane: può una civiltà che mette al bando artisti e pensatori per la loro nazionalità o presunte simpatie politiche considerarsi realmente libera e democratica? Si tratta di scelte che evocano scenari di "guerra alle idee", simbolo di una crisi profonda che minaccia il ruolo stesso dell’arte nella società.
In Italia, paese che si vanta di essere culla della cultura europea, estendere il conflitto geopolitico all’ambito culturale appare una deriva pericolosa, che rischia di impoverire il panorama artistico e soffocare la pluralità d’espressione.
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