Un "capitano di ventura", uno "stratega", "uno di quegli italiani imprendibili, indefinibili, che sanno entrare in tutte le parti": sono diversi gli aggettivi e le definizioni che negli anni hanno accompagnalo la figura di Enrico Mattei fino alla tragica morte.
Enrico Mattei nasce il 29 aprile 1906 ad Acqualagna in provincia di Pesaro ma nel 1919 la famiglia si trasferisce a Matelica, in provincia di Macerata.
Partigiano durante la Resistenza, petroliere nel Dopoguerra e dirigente pubblico dopo la fondazione nel 1953 dell’Eni. L’Ente nazionale idrocarburi che ha sfidato il dominio anglo-americano sulla produzione dell’oro nero.
Ma Enrico Mattei è anche il protagonista di uno dei grandi misteri della storia della Repubblica italiana. Il 27 ottobre 1962, il suo aereo privato, un bimotore con cui stava tornando a Milano da Catania, precipitava nelle campagne del pavese. A bordo con lui, il pilota Irnerio Bertuzzi e il giornalista statunitense William McHale della testata Time–Life, incaricato di scrivere una cover-story sul dirigente.
Un incidente, così era stata archiviata la morte del numero uno di Eni. Le cause? Un guasto, un errore, un malore, ma, annoverato tra le ipotesi, anche un gesto estremo del pilota, a causa di una delusione amorosa.
Una commissione di inchiesta ha ipotizzato un’avaria. Alcuni testimoni, contadini della zona, avevano però raccontato, nelle ore successive all’incidente, di aver visto l’aereo incendiarsi in volo.
Tra le varie ricostruzioni, la versione dell’attentato mafioso. Voluto della famiglia Di Cristina, per onorare un accordo tra non meglio identificati americani e Cosa nostra siciliana. Certo è che il grande manager italiano era diventato un uomo scomodo nello scenario mondiale dell’energia
Oggi, a 60 anni dalla morte, si torna a parlare di piano Mattei e metodo Mattei ma la verità sullo schianto del Morane-Saulnier 760 resta sepolta sotto il fango nelle campagne di Bascapè.