Contratti a termine, ecco come cambiano le causali e le clausole con il decreto Lavoro approvato nella giornata di ieri, 1° maggio, dal governo Meloni. La riforma riguarda i contratti a termine e quelli in somministrazione. La novità più rilevante è quella che consente a un datore di lavoro di rinnovare il contratto a termine o in somministrazione che sia scaduto. In alternativa, il datore può prorogare il rapporto di lavoro oltre la durata limite dei dodici mesi. È importante sottolineare che il nuovo decreto fissa la durata massima dei contratti a termine a 24 mesi. Fino a 12 mesi di rapporto non cambia nulla e il contratto rimane a causale. Il rinnovo, tuttavia, può arrivare anche nel corso dei primi 12 mesi.
I nuovi contratti a termine stabiliscono che il datore di lavoro può procedere con il rinnovo o la proroga del rapporto di lavoro in tre casi. Nella prima ipotesi, l’azienda o il datore di lavoro possono procedere con il rinnovo in virtù di un accordo che si rifà ai contratti collettivi. L'accordo sindacale può essere siglato a qualsiasi livello, sia territoriale che nazionale. Il decreto Lavoro stabilisce che la contrattazione può essere sottoscritta anche a livello aziendale nel caso in cui le sigle sindacali più rappresentative non arrivino a un accordo. Si badi bene, le aziende e i lavoratori possono arrivare a un accordo autonomo. Per la messa a regime di questa ipotesi, è necessario che i contratti collettivi stabiliscano le situazioni che consentano di arrivare a una proroga ultrannuale del contratto a termine o il rinnovo.
Il decreto Lavoro stabilisce anche una seconda ipotesi di riforma dei contratti a termine con rinnovo o proroga oltre i 12 mesi. La situazione è quella che non vi sia un accordo collettivo e che debbano, quindi, essere i datori di lavoro e i lavoratori ad arrivare a individuare l’esigenza di natura tecnica, amministrativa e produttiva, alla base del singolo contratto a tempo determinato. In altre parole, aziende e lavoratori si accordano sulla causale da inserire nel contratto, che consente di allungare il termine del rapporto stesso. Questa opzione dovrebbe rimanere in vigore fino alla fine del 2024, consentendo un accordo flessibile tra datore di lavoro e lavoratore nello stabilire quali siano le ragioni che portino a prolungare il contratto stesso oltre i 12 mesi. Da questo punto di vista, il governo ha assegnato un ruolo di ampia responsabilità alle imprese nell’autodeterminazione delle esigenze lavorative e nell’organizzazione della forza lavoro.
Il terzo campo di applicazione dei contratti a termine è quello per il quale datore di lavoro e lavoratore arrivino a fissare una proroga o un rinnovo per esigenze di sostituzione di altri lavoratori. Questa ipotesi non è una novità ma rientra già nelle regole lavorative esistenti. Complessivamente il decreto Lavoro, nella parte dei contratti a termine riforma, in parte, quanto prevedeva il decreto legge 87 del 2018 (cosiddetto Dignità). Nel dettaglio, quest’ultimo provvedimento, che non è mai entrato a pieno regime se non per qualche mese a causa della pandemia, stabilisce che i contratti a termine siano acausali sono nel primo anno, mentre i successivi dodici mesi fossero regolati da un sistema restrittivo di causali. Il successivo decreto legge 73 del 2021 (Dl Sostegni bis), stabiliva la facoltà per i contratti collettivi di individuare le causali. D fatto, dunque, il decreto Lavoro di ieri cancella le causali previste dal decreto Dignità, rinviando alle causali previste dai contratti collettivi o dall'autodeterminazione delle aziende e dei lavoratori.