Yulia Tymoshenko, figura centrale nella politica ucraina, ha stabilito un precedente storico diventando per due volte primo ministro del Paese e la prima donna a ricoprire tale ruolo. La sua carriera politica di vasta portata l'ha portata ad essere riconosciuta da Forbes tra le cento donne più potenti nel 2005, anche grazie al suo ruolo chiave nella Rivoluzione Arancione che ebbe luogo nel Paese 19 anni fa, iniziando il 22 novembre 2004.
La Rivoluzione Arancione fu un evento estremamente significativo nella storia dell'Ucraina moderna e fu innescata dalle elezioni del 21 novembre 2004. Le accuse di brogli elettorali da parte del candidato Viktor Yushchenko, avversario di Viktor Yanukovich, portarono a massicce proteste pacifiche. Il colore arancione, simbolo del movimento, divenne un'icona di questa rivolta, culminata con la vittoria di Yushchenko nelle elezioni ripetute del 26 dicembre.
Le tensioni politiche interne dell'Ucraina si sono intrecciate con la geopolitica globale, in particolare con l'invasione russa di Crimea e Donbass nel 2014, e l'attacco su larga scala alla sovranità ucraina nel 2022. Questi eventi hanno riacceso i dibattiti sul ruolo della Russia nella regione e le accuse di un "colpo di stato" orchestrato da forze occidentali.
Euromaidan, o Rivoluzione della Dignità, ha segnato un altro capitolo cruciale nella storia dell'Ucraina. Scatenata dal rifiuto del governo ucraino nel 2013 di firmare un accordo di associazione con l'UE, le proteste di Euromaidan hanno espresso il desiderio di un'identità europea più forte. La decisione del presidente Yanukovich di accettare un prestito dalla Russia invece di avvicinarsi all'UE ha scatenato manifestazioni di massa che hanno portato alla sua destituzione.
Le manifestazioni di piazza si sono trasformate in una crisi nazionale che ha attirato l'attenzione internazionale. La fuga di Yanukovich e l'installazione di un governo ad interim innescarono una risposta aggressiva da parte della Russia. La tensione tra l'Occidente e la Russia è cresciuta, con accuse di ingerenza e narrazioni contrastanti sulle cause e gli sviluppi del conflitto.
Nella notte tra il 21 e il 22 novembre 2013, centinaia di studenti e attivisti si radunano in Piazza Maidan, a Kiev, per protestare contro la sospensione delle trattative tra l'Ucraina e l'Unione Europea. Questa mobilitazione segna l'inizio della terza rivoluzione ucraina in un quarto di secolo, dopo quelle di Granito (1990) e Arancione (2004). Queste proteste, inusuali per la loro natura legata a decisioni di politica estera, crebbero rapidamente in intensità a seguito della violenta repressione del regime di Janukovyč.
All'inizio, Putin non aveva ancora mostrato le sue intenzioni bellicose in Ucraina, e la situazione in Georgia nel 2008 sembrava improbabile, anche se molti ucraini erano preoccupati di irritare la Russia. Nel 2013, Putin promette vantaggi economici in cambio del rifiuto ucraino di un accordo con l'UE, offrendo una tranche da 15 miliardi di dollari in prestiti a condizioni vantaggiose.
I sondaggi dell'epoca mostravano che il 58% degli ucraini era favorevole all'UE (percentuale salita al 91% nel 2022), ma c'era anche una significativa spaccatura regionale, con sentimenti anti-UE forti in Donbass, Odessa, Kharkiv e soprattutto in Crimea.
Quando la Russia lancia l'invasione militare sotto il pretesto di aiutare i separatisti del Donbass, la popolazione della regione mineraria si divide quasi equamente tra sostenitori dell'UE, della cooperazione con la Russia e di nessuna delle due opzioni. Tuttavia, questo dibattito interno diventa irrilevante con l'intensificarsi della guerra russo-ucraina, che blocca ogni possibile soluzione interna alla crisi.
Viktor Janukovyč, l'ex presidente ucraino fuggito dopo Maidan, è cresciuto in una famiglia di origine russa a Donec'k e ha un passato criminale. Riuscito a ottenere una seconda chance, scala le posizioni di potere nella regione di Donec'k, appoggiato dall'oligarca Rinat Achmetov. Nel 2002 diventa primo ministro e nel 2004 è il candidato del Partito delle Regioni nelle elezioni presidenziali, annullate per brogli elettorali.
Il ritorno al potere di Janukovyč nel 2010 è favorito da un forte sostegno elettorale in Crimea e nel Sud-Est, dove l'influenza degli oligarchi e la burocrazia post-comunista giocano un ruolo importante. Durante la sua presidenza, Janukovyč cerca di centralizzare il potere e limita l'indipendenza del sistema giudiziario, culminando con l'arresto di Yulia Tymoshenko.
Nonostante le iniziali trattative con l'UE, Janukovyč sceglie infine di avvicinarsi alla Russia, scatenando le proteste di Euromaidan e portando alla sua destituzione e fuga in Russia. La maggioranza degli ucraini, all'epoca, favoriva l'integrazione con l'UE ma era contraria all'adesione alla NATO, in linea con gli accordi internazionali che garantivano la sicurezza ucraina.
L'indecisione del governo ucraino tra UE e Russia porta a una situazione di instabilità, esacerbata dalla violenza delle forze di polizia e dalla crisi economica, che culmina con le elezioni presidenziali anticipate e la fuga di Janukovyč.
La situazione in Ucraina era ulteriormente complicata dalla radicalizzazione di alcune fazioni. I sostenitori di Janukovyč erano etichettati come dinosauri sovietici, mentre loro accusavano i rivoluzionari di Maidan di voler "svendere" il paese all'Occidente. Questa polarizzazione si manifestava chiaramente in città come Dnipro, dove si chiedeva il coprifuoco e la cacciata degli stranieri.
Il movimento di Maidan era caratterizzato da una notevole diversità. La maggior parte dei manifestanti erano giovani, cittadini e fortemente europeisti, uniti dalla loro opposizione al conservatorismo nostalgico di Janukovyč. C'era una forte retorica anticomunista, soprattutto tra le frange più radicali e nazionaliste. Il Partito Comunista Ucraino veniva visto come corrotto e vicino agli oligarchi del Donbass.
Le proteste di Maidan avevano obiettivi più ampi di un semplice cambio di regime. I manifestanti chiedevano un cambiamento radicale in Ucraina, con una lotta feroce alla corruzione e alla violenza statale. La presenza di gruppi nazionalisti di estrema destra era evidente, ma non predominante rispetto alle bandiere ucraine ed europee.
La propaganda russa ha cercato di ritrarre le proteste come dominate dai nazifascisti, nonostante l'ideologia del nazionalismo radicale ucraino fosse più complessa. Il Partito delle Regioni e i suoi sostenitori accusavano i manifestanti di provocare la polizia, innescando la violenza.
Le proteste di Maidan hanno attraversato un inverno lungo e difficile, con episodi di violenza e repressione da parte della polizia. La situazione è degenerata nel febbraio 2014, con cecchini che sparavano sulla folla, portando a numerose vittime tra i manifestanti e la polizia.
I documentari come "Winter on Fire" di Evgeny Afineevsky e "Ukraine on Fire" di Oliver Stone offrono due prospettive diverse sugli eventi di Maidan. Mentre "Winter on Fire" enfatizza la tragedia della repressione, "Ukraine on Fire" di Stone presenta una narrazione alternativa, spesso in linea con la propaganda russa.
Dopo la fuga di Janukovyč, un governo di transizione viene istituito in Ucraina. Tuttavia, questo governo è stato rapidamente messo in discussione, sia internamente sia dalla Russia, che ha usato la situazione per giustificare le sue azioni aggressive in Crimea e Donbass.
La caduta di Yanukovich segnò l'inizio di un conflitto diretto con la Russia, che rapidamente si impadronì della Crimea. I cosiddetti "uomini verdi", soldati russi non identificati, occupano la penisola, che successivamente venne annessa alla Russia in seguito a un referendum controverso.
Il 2 maggio 2014, Odessa diventa teatro di uno dei giorni più tragici della rivoluzione. Gli scontri tra attivisti filorussi e pro-ucraini portano a un incendio mortale nella Casa dei Sindacati, con decine di vittime. Questo evento diventò un punto focale nella propaganda russa, che lo utilizzò per sostenere la narrazione di un genocidio contro la popolazione russofona.
La guerra nel Donbass, nell'est dell'Ucraina, inizia nell'aprile 2014 con l'occupazione di edifici amministrativi da parte di "uomini verdi", supportati da Mosca con finanziamenti e armamenti. I separatisti filorussi proclamano l'indipendenza delle Repubbliche popolari di Donetsk e Luhansk, spingendo Kiev a lanciare un'operazione antiterroristica con coinvolgimento dell'esercito e milizie volontarie. Due referendum in Donec'k e Luhansk, tenuti l'11 maggio, vedono una vittoria schiacciante del "Sì" per l'indipendenza. Gli Accordi di Minsk del 2015, con la mediazione di Germania e Francia, tentano invano di porre fine al conflitto, che causa circa 14 mila vittime e sposta circa due milioni di persone.
L'elezione di Petro Poroshenko come presidente nel 2014 inizialmente porta speranze di stabilità, ma presto emergono critiche per la mancanza di progressi significativi contro la corruzione e la crisi con i separatisti. Il successore Volodymyr Zelensky si è concentrato sulla digitalizzazione e la conciliazione nazionale, ma gli sforzi diplomatici non portarono a una risoluzione del conflitto nel Donbass. E la serie di tensioni celate a fatica ha portato a un evento forse prevedibile, ma non troppo, come l’invasione russa in Ucraina del febbraio 2022.