Nel mondo del lavoro, i rapporti tra datore di lavoro e dipendenti possono non essere sempre idilliaci. Spesso, i dipendenti si trovano a fronteggiare comportamenti sgradevoli che rendono difficile l’ambiente lavorativo. Cosa fare se il datore di lavoro ci tratta male? Ecco come difendersi da un datore di lavoro offensivo.
In ambito lavorativo, non è raro che si verifichino situazioni di conflitto. In alcuni casi, le offese verbali possono diventare pesanti e lasciare segni significativi. La giurisprudenza distingue tra ingiuria e diffamazione.
L'ingiuria, reato depenalizzato nel 2016, è ora considerata un illecito civile. Questo significa che le offese dirette non possono più essere denunciate penalmente, ma possono essere perseguite in sede civile per ottenere risarcimenti. La diffamazione, invece, è ancora un reato penale e riguarda le offese all'onore e alla reputazione di una persona fatte in sua assenza.
Il datore di lavoro ha il potere di gestire e organizzare l’attività lavorativa, noto come potere direttivo, e di sanzionare i comportamenti dei dipendenti che violano le regole aziendali, noto come potere disciplinare. Tuttavia, questo potere non giustifica comportamenti lesivi della dignità del lavoratore. Le offese verbali non circostanziate e lesive della dignità personale non sono tollerate dalla legge.
Abbiamo specificato che le offese verbali rivolte direttamente non costituiscono un reato dal 2016, ma possono essere oggetto di una causa civile. Invece, la diffamazione, che avviene quando le offese sono fatte in assenza del lavoratore e alla presenza di altri, rimane un reato penale.
Per agire legalmente contro le offese verbali, il lavoratore deve raccogliere prove, come email o messaggi offensivi. È importante dimostrare che tali comportamenti lesivi non permettono di svolgere adeguatamente le proprie mansioni.
Ci sono alcuni passi da seguire per tutelarsi dalle offese e dalle ingiurie di un lavoratore:
Per intraprendere un'azione legale, il lavoratore deve raccogliere prove concrete. Le prove possono includere testimonianze, registrazioni audio o video, email e messaggi che dimostrano gli abusi subiti.
Un avvocato può consigliare il lavoratore su come procedere in sede civile, valutando le prove e preparando la causa. È possibile chiedere un risarcimento per i danni psico-fisici subiti.
Perché un’offesa verbale sia considerata diffamazione, deve essere pronunciata in assenza della vittima e in presenza di almeno due persone. Anche le email inviate a più destinatari possono configurare diffamazione. Tuttavia, la particolare tenuità del fatto può portare all'archiviazione del caso se il colpevole non è recidivo.
Le offese verbali possono evolvere in mobbing, una forma di violenza psicologica sistematica sul luogo di lavoro. Il mobbing comporta atti ripetuti e intenzionali volti a isolare, denigrare o ridurre il lavoratore al silenzio.
Il lavoratore vittima di mobbing può agire legalmente raccogliendo prove degli abusi sistematici. Anche in questo caso, il supporto di un avvocato esperto è fondamentale per ottenere giustizia.
Per ottenere un risarcimento danni per offese verbali sul posto di lavoro, il lavoratore deve fornire prove concrete e valide. L'onere della prova è a carico della vittima, che deve dimostrare in tribunale di aver subito un torto e danni conseguenti.
In questi casi, la testimonianza di colleghi diventa essenziale, anche se la paura di ripercussioni può rendere difficile trovare testimoni disposti a collaborare. È pertanto molto importante dimostrare la veridicità delle accuse con prove tangibili, come registrazioni audio, email o messaggi contenenti insulti.
Quando il datore di lavoro supera i limiti della critica legittima, usando espressioni ingiuriose o comportamenti offensivi, può essere accusato di maltrattamenti. In casi gravi, come insulti reiterati o comportamenti aggressivi, il datore di lavoro rischia una reclusione fino a sei mesi. Se il comportamento configura mobbing, con vessazioni sistematiche, il lavoratore può chiedere anche un risarcimento danni. È fondamentale che il lavoratore raccolga prove certe, come registrazioni o testimonianze, per supportare le sue accuse.
Il dipendente che non può più tollerare la situazione in azienda può dimettersi per giusta causa. Le dimissioni per giusta causa non richiedono il preavviso e permettono di accedere all'indennità di disoccupazione NASpI, se si soddisfano i requisiti normativi. La giurisprudenza ha individuato vari motivi per le dimissioni per giusta causa, tra cui:
Con la sentenza del 17 febbraio 2009, n. 6758, la Corte di Cassazione ha chiarito i limiti entro cui il datore di lavoro può esercitare la critica. Le espressioni utilizzate non devono ledere la dignità del lavoratore. La Corte ha stabilito che termini come penoso, mezzucci, e mezze maniche utilizzati in un contesto pubblico configurano diffamazione, oltre a ingiuria.