La Corte Suprema di Cassazione ha recentemente emesso la sentenza n. 12679/2024, affrontando nuovamente la questione dell’uso illegittimo dei permessi previsti dalla Legge 104/1992. Questa pronuncia riguarda un caso emblematico relativo all'assistenza ai familiari disabili e alla corretta applicazione dei permessi lavorativi concessi ai caregiver.
Il caso specifico esaminato dalla Corte di Cassazione concerne un lavoratore che aveva utilizzato i permessi ex art. 3, comma 3, della Legge 104/1992, per assistere la moglie disabile. Il problema è che nel periodo in cui il lavoratore era assente per aver preso i permessi, sono state rese note alcune attività eseguite dal lavoratore, che potevano essere fraintendibili e hanno quindi fatto dubitare della corretta fruizione dei permessi. Il datore di lavoro ha contestato che il lavoratore si trovasse in una località marina con la moglie disabile e che avesse accompagnato il cane dal veterinario, attività ritenute non strettamente legate all'assistenza del coniuge.
Con l'ordinanza n. 12679/2024, la Corte di Cassazione si è pronunciata sul caso in esame, ritenendo illegittimo il licenziamento del lavoratore, considerando che l'accompagnamento della moglie in una località marina per beneficiare dell'aria salubre fosse coerente con le finalità assistenziali previste dalla legge. Per configurare una giusta causa di licenziamento, è necessario che l'uso dei permessi sia del tutto disgiunto dalle finalità assistenziali. Inoltre, la Corte ha sottolineato che l'assistenza deve garantire un intervento permanente, continuativo e globale, ma non deve impedire al caregiver di gestire le proprie esigenze personali.
La sentenza n. 12679/2024 della Corte di Cassazione ha dunque delineato chiaramente i criteri per la corretta fruizione dei permessi Legge 104. L'assistenza fornita deve essere di natura permanente, continuativa e globale, garantendo supporto essenziale nelle sfere individuale e relazionale del familiare disabile.
La Corte ha precisato anche che l'assistenza non deve essere così esclusiva da impedire al caregiver di gestire le proprie esigenze personali. Il lavoratore può quindi dedicare tempo alle proprie necessità, purché mantenga l'essenzialità e la continuità dell'assistenza al disabile. Attività come l'accompagnamento in località marine o termali, se giustificate da necessità mediche, rientrano legittimamente nell'uso dei permessi 104.
Secondo la Legge 104, è considerata disabile la persona con una minorazione fisica, psichica o sensoriale che causa difficoltà di apprendimento, relazione o integrazione lavorativa, determinando un processo di svantaggio sociale o emarginazione. La situazione di gravità è definita quando la minorazione riduce l'autonomia personale, rendendo necessario un intervento assistenziale.
Il recente decreto sulla disabilità utilizza la locuzione "condizione di disabilità" anziché "handicap", per indicare una compromissione duratura che ostacola la partecipazione alla vita quotidiana e ai vari contesti di vita.
La Corte di Cassazione ha ribadito che, in assenza del nesso causale tra assenza dal lavoro e assistenza al disabile, si configura un uso illegittimo dei permessi, cosa che rappresenta una grave violazione dei doveri di correttezza e buona fede nei confronti del datore di lavoro e dell’ente. L'uso dei permessi deve sempre essere coerente con le finalità previste dalla legge.
Nel caso esaminato, la Cassazione ha ritenuto che le attività svolte dal lavoratore, come il soggiorno in una località marina con la moglie disabile e l'accompagnamento del cane dal veterinario, fossero coerenti con l'intento dei permessi per l'assistenza. La Corte ha concluso che, in assenza del nesso causale tra l'assenza dal lavoro e l'effettiva assistenza al disabile, si configura un abuso del diritto riconosciuto dalla Legge 104.
Infatti, in questo episodio, l’atto di recarsi in una località marina non è visto come svago o villeggiatura, ma come un’attività totalmente inerente all’assistenza del parente disabile, che può beneficiare dell’aria salubre del luogo di mare sia da un punto di vista fisico sia sotto l’aspetto psicologico.
Inoltre, l’ordinanza ha ribadito che l'assistenza deve essere permanente, continuativa e globale, ma deve anche permettere al caregiver di gestire le proprie esigenze personali, concetto già espresso in precedenti sentenze.