Una bella storia da raccontare in mezzo a tante storie drammatiche. Una bella storia di convivenza e speranza, in mezzo a tante di odio, violenza e sospetto.
È la storia della Scuola calcio Roma di Gerusalemme che riunisce - sotto la stessa maglia e gli stessi colori - bambini e ragazzi israeliani, palestinesi e africani e che da anni lavora nella convinzione che la convivenza pacifica sia possibile. Lo fa su un campo che non è di battaglia, ma di calcio. Lo fa da Gerusalemme, città santa per le tre grandi religioni monoteiste.
Insegniamo il rispetto e l'inclusione. Parliamo molto con i ragazzi per far capire loro che si può stare insieme, lavorare e divertirsi insieme. Il calcio è un gioco, ma ciò che conta è che questi ragazzi probabilmente domani saranno ragazzi migliori come persone. Li facciamo incontrare oggi su un campo di calcio affinché domani non debbano farlo su un campo di battaglia.
Sono le parole di Samuele Giannetti il presidente di questa bella realtà, nata per caso per riunire i tifosi della Roma a Gerusalemme e in Israele, che negli anni si è trasformata nell' esempio di un sogno possibile.
La redazione di Tag24.it lo ha raggiunto telefonicamente per farsi raccontare la storia di questo sogno che va avanti, nonostante le difficoltà e nonostante la guerra. Un sogno che neanche il massacro del 7 ottobre 2023 è riuscito a spezzare.
Siamo tornati ad allenarci subito. Il 7 ottobre ci sono stati gli attentati di Hamas, il 14 ottobre eravamo nuovamente sul campo perché era fondamentale riportare i ragazzi in una sorta di normalità, nell'anormalità della situazione in cui ci troviamo. Il terrorismo vuole fare questo, vuole cambiarci ma noi non lo faremo. La paura è un sentimento umano, ma questo non deve fermarci. A questi ragazzi vogliamo insegnare che non dobbiamo darla vinta al terrorismo.
Quattrocento bambini e ragazzi tra i 5 e i 16 anni che ogni settimana si ritrovano in su un campetto per dimostrare, tirando calci a un pallone, che è possibile essere diversi, pensarla diversamente e convivere pacificamente. Un messaggio ai tanti adulti che dovrebbero imparare come si fa a non odiare, come si fa a guardare l'altro e riconoscere l'amico e non il nemico.
I bambini non fanno differenze e alla fine coinvolgono anche i genitori perché il messaggio che passa è che c'è un unico filo conduttore, un'unica sorte che ci unisce. Le racconto un aneddoto. In queste settimane abbiamo avviato una raccolta fondi di solidarietà per le famiglie sfollate dal nord di Israele. Queste famiglie scappano dai bombardamenti e sono state accolte anche a Gerusalemme negli alberghi cittadini. Tra queste famiglie non ci sono solo israeliani, ma anche palestinesi. Eppure la raccolta fondi è stata un successo.
Racconta Giannetti mentre alle sue spalle è un via vai di ambulanze il cui suono delle sirene penetra il ricevitore del cellulare.
Oggi va bene. Naturalmente siamo preoccupati, ma al momento va bene,
ci aveva rassicurato, appena pochi minuti prima, rispondendo alla nostra telefonata.
Non è vero – come spesso viene raccontato – che qui da una parte ci sono gli arabi e da una parte ci sono gli israeliani. Qui tutti abbiamo ben chiaro che il nemico comune è rappresentato dai fanatici.
Non è facile, però, riuscire a continuare come se nulla fosse. La scuola calcio in questi dodici mesi non ha mai interrotto le proprie attività, ma per questi ragazzi e per gli organizzatori, la normalità prevede la presenza di un bunker nei pressi del campo di calcio in cui potersi rifugiare in caso di attacco o di bombardamenti.
Ci alleniamo in tre campi di calcio in diverse zone della città di Gerusalemme, ma in campi vicini a bunker affinché, in caso di un attacco missilistico i ragazzi – che sanno bene cosa fare nel minuto che hanno a disposizione – possano correre a mettersi in salvo.
Una normalità che per noi, che non conosciamo la sensazione di vivere nel costante terrore di un attacco missilistico, non è nemmeno immaginabile.
Questo crea unità. Sul campo ci sono ragazzi arabo-palestinesi, ebreo-israeliani, israeliani cattolici, africani, armeni ortodossi e tutti sanno che quando i missili arrivano non fanno distinzioni. I ragazzi capiscono che fanno tutti parte dello stesso gruppo, che sono tutti nelle stesse condizioni.
Racconta Giannetti.
Ma come è nata l'idea di creare una scuola calcio a Gerusalemme?
Tutto è iniziato nel 1998, quando abbiamo creato un 'Roma Club' che riunisse i tifosi della Roma nel continente asiatico. Piano piano nel 2008 abbiamo cominciato a fare tornei di calcetto per giovani e adulti con il patrocinio del consolato italiano a Gerusalemme. Abbiamo visto che in campo c'erano mussulmani, ebrei, cattolici, protestanti e da lì abbiamo avuto l'idea: perché non fare qualcosa di simile anche per i bambini? E così è nata la scuola calcio Roma Gerusalemme. All'inizio erano solo 7 bambini, oggi siamo quasi 400. Tra i nostri bambini e ragazzi ci sono ebrei, palestinesi, etiopi, bambini sfollati dai territori di confine a Nord. Per tutti cerchiamo di creare un ambiente che li faccia sentire a casa, una famiglia.
Spiega il presidente.
La scuola calcio Roma Gerusalemme è una squadra semiprofessionistica con una stretta partnership con la Roma Academy. Nella foto del profilo il presidente ha uno scatto insieme a Francesco Totti e sorridendo ci dice:
Sì, sono con lui. È un amico. Abbiamo anche una partnership con la Roma dal 2018. Riceviamo anche il supporto tecnico dell'Academy. Fino all'anno scorso portavamo qui anche gli allenatori per degli stage per i ragazzi, ma adesso con la guerra non è più possibile, ma loro continuano a seguirci.
Un piccolo gruppo di atleti, insieme al presidente Giannetti, il prossimo 19 novembre sarà a Roma per ricevere un premio per il proprio impegno dal Club Roma del Senato, mentre il giorno dopo e sarà ricevuto anche in Vaticano da Papa Francesco.
Prima di concludere l'intervista abbiamo chiesto al presidente Giannetti se la loro piccola esperienza possa essere un esempio del fatto che la convivenza pacifica tra israeliani e palestinesi è possibile.
Assolutamente sì. La città stessa di Gerusalemme è la prova di questo. Qui convivono cristiani, ebrei, mussulmani da decenni. Il punto è proprio questo: convivere insieme è possibile.
Una storia piccola, ma un grande esempio di come potrebbe essere se solo si facessero tacere le armi e l'odio e si cominciasse a guardare all'altro con gli occhi dei bambini che, in mezzo a tanti adulti incapaci di guardare oltre il proprio naso, hanno saputo guardare oltre. Oltre il colore della pelle, oltre la religione, oltre i rancori.
Un piccolo 'miracolo' che, però, ha il sapore della possibilità.