22 Jan, 2025 - 18:03

Craxi era di destra o di sinistra?

Craxi era di destra o di sinistra?

Nel 1976 il Partito Socialista Italiano attraversava un periodo difficile. Le elezioni politiche di giugno avevano portato a un risultato deludente, con un consenso inferiore al 10%, sotto le aspettative. La leadership di Francesco De Martino, segretario storico, era messa in discussione sia dai militanti sia dai quadri intermedi. Si riteneva necessario un cambio di rotta, e così fu convocato per il 15 luglio un incontro del Comitato centrale del partito, presso l’hotel Midas di Roma, situato lungo la via Aurelia.

L'obiettivo era trovare una figura di transizione che non appartenesse alla corrente dominante di De Martino, ma la situazione era complicata. Oltre ai sostenitori di De Martino, il PSI era frammentato tra diverse correnti: i lombardiani, i manciniani e gli "autonomisti" legati allo storico leader Pietro Nenni. Nessuna di queste fazioni aveva un peso prevalente.

Alla vigilia della votazione, Giacomo Mancini, uno dei leader di corrente, contattò Giovanni Mosca, un esponente vicino a De Martino, chiedendogli di valutare la possibilità di candidare Bettino Craxi.

Gli esordi di Bettino Craxi nella politica

Negli anni Cinquanta Bettino Craxi iniziò a frequentare i circoli culturali di Milano, dove si rese conto del ruolo dominante dei comunisti, fortemente influenti grazie anche al lavoro di Rossana Rossanda. Quest'ultima, che in seguito sarebbe diventata responsabile della politica culturale del PCI e fondatrice del quotidiano Il Manifesto, rappresentava una figura chiave nell’ambiente culturale dell’epoca. In quegli stessi anni, Craxi collaborò con diversi giornali dell’area socialista, tra cui Avanti!, e osservò con ammirazione il modello organizzativo del PSI introdotto da Rodolfo Morandi, segretario del partito alla fine degli anni Quaranta.

Grazie a Morandi, il PSI si trasformò in un partito di massa: vennero aperte numerose sezioni locali, specialmente nel Sud Italia, e gli iscritti superarono le 700.000 unità. Come osserva lo storico Luigi Musella, autore di una delle più complete biografie su Craxi, l’influenza di Morandi lasciò un segno profondo nel giovane Craxi. Egli assimilò il principio secondo cui il partito doveva costruirsi un’identità politica distinta, che si differenziasse chiaramente dagli altri, soprattutto dal PCI. Questo concetto sarebbe diventato un pilastro della visione politica di Craxi durante la sua segreteria.

Nel corso degli anni Sessanta, Craxi ricoprì diversi incarichi a livello locale, tra cui quello di assessore al Comune di Milano e segretario provinciale del PSI. Nel 1968 venne eletto deputato, ma mantenne sempre un forte legame con la base milanese del partito, creando un solido gruppo di collaboratori fidati. Tra questi c’era anche suo cognato, Paolo Pillitteri, che in seguito sarebbe diventato sindaco di Milano.

Negli anni Ottanta questa rete di alleati sarebbe stata soprannominata da Eugenio Scalfari “la banda”. Nel 1970 Craxi assunse il ruolo di vicesegretario del partito, con la responsabilità dei rapporti internazionali, un incarico che gli consentì di ampliare la sua rete di conoscenze all’estero. Tuttavia, nel 1976, quando fu eletto segretario al congresso del Midas, Craxi era ancora poco noto e spesso sottovalutato. Mario Melloni, noto con lo pseudonimo di Fortebraccio, lo definì sull’Unità come “Nihil, il signor nessuno”, e anche altri giornali dell’epoca lo descrissero come un personaggio di scarsa importanza.

La dottrina di Craxi: socialista anticomunista

Una volta diventato segretario, Craxi si trovò ad affrontare due sfide principali, strettamente interconnesse: il declino dell’importanza del PSI e i suoi scarsi risultati elettorali. Le cause di questa situazione erano evidenti a tutti e furono sintetizzate brillantemente dal filosofo Norberto Bobbio durante un convegno: «In Italia esiste un grande partito socialista, ma non è il Partito Socialista». La frase alludeva chiaramente al Partito Comunista Italiano, che godeva di un consenso in continua crescita. Tale forza stava portando il PCI vicino al sorpasso sulla Democrazia Cristiana, minacciando di sconvolgere l’equilibrio politico su cui si era basata la Repubblica nei tre decenni precedenti.

Craxi si definiva socialista, ma con un chiaro orientamento anticomunista, una posizione che gli valse la simpatia degli Stati Uniti. Si rifaceva a una visione della sinistra di matrice europea, distante dall’influenza sovietica. Tentò di scardinare il predominio del PCI nella sinistra italiana attraverso una serie di iniziative tese a riaffermare l’autonomia socialista.

Prima di tutto, si oppose fermamente al cosiddetto “compromesso storico”, l’accordo che stava avvicinando la Democrazia Cristiana e il Partito Comunista, rischiando di relegare i socialisti a un ruolo marginale. Craxi fondò la sua strategia sulla “politica dell’alternativa”, che prevedeva un’alternanza tra sinistra e DC in un sistema bipolare, piuttosto che un’alleanza con quest’ultima.

Un altro punto cruciale del suo pensiero fu il superamento del marxismo. In un famoso articolo pubblicato su L’Espresso nel 1978, Craxi criticò apertamente il marxismo, citando anche il filosofo francese Pierre-Joseph Proudhon, che definiva il comunismo «un’assurdità antidiluviana». L’ultima e più significativa mossa contro il PCI fu il riavvicinamento con la DC, che iniziò nel 1979, rafforzando così la distanza tra socialisti e comunisti.

Craxi si distinse ulteriormente dal PCI durante il drammatico sequestro di Aldo Moro nel 1978. Fu l’unico leader politico a sostenere pubblicamente la necessità di avviare una trattativa con le Brigate Rosse, e sembra che abbia tentato in segreto di farlo (si ipotizza che il suo tramite con i brigatisti fosse un ex professore e vecchio compagno di partito, Corrado Simioni).

Le politiche di Craxi al governo

L’abilità di Craxi nel rimescolare le carte in un contesto politico bloccato – dove la Democrazia Cristiana era al potere dalla fine della guerra e il PCI non poteva governare – portò il Partito Socialista a un ruolo centrale, nonostante la sua dimensione relativamente piccola. Dopo il successo elettorale del 1983, Craxi riuscì a diventare presidente del Consiglio, il primo socialista a ricoprire questo incarico. Il governo, sostenuto da una coalizione di cinque partiti principali (escluso il PCI), divenne noto come “Pentapartito”.

Craxi interpretò il ruolo di presidente del Consiglio con uno stile innovativo e deciso. Durante il suo mandato, l’uso dei decreti-legge crebbe notevolmente, una novità per l’epoca che generò anche molte polemiche. Questo approccio anticipò il modello attuale, in cui il governo gioca un ruolo predominante nella proposta di leggi, trasformate poi dal Parlamento. Tra le sue ambizioni vi era anche la riforma delle istituzioni, ma gli sforzi in tal senso non ebbero successo. Insistette più volte sulla necessità di modificare le norme sul voto segreto in Parlamento, al fine di proteggere la sua maggioranza dai “franchi tiratori” – una modifica che arrivò solo nel 1988, quando Craxi non era più alla guida del governo.

Il suo stile di leadership, caratterizzato da un’impostazione accentratore e quasi “presidenziale”, prefigurò molte delle tendenze politiche che avrebbero segnato i decenni successivi, sia nel centrodestra sia nel centrosinistra.

Politica estera di Craxi

In politica estera, Craxi mantenne saldo l’allineamento dell’Italia al blocco occidentale e proseguì nella tradizione europeista che aveva caratterizzato il Paese fino ad allora. Questo orientamento era emerso già nel 1979, durante la questione dei missili Cruise. Gli Stati Uniti, in risposta all’ammodernamento dell’arsenale sovietico, avevano proposto di installare i missili in Europa. La Germania aveva già dato il via libera, mentre Regno Unito e Francia, dotate di proprie armi nucleari, non erano opzioni praticabili. Lo stallo si risolse grazie all’approvazione di Craxi e del Partito Socialista, su richiesta del premier democristiano Francesco Cossiga.

Uno degli episodi più significativi della politica estera di Craxi, spesso citato dai suoi sostenitori, fu la gestione della crisi di Sigonella, il 10 ottobre 1985. L’episodio seguì il dirottamento della nave da crociera italiana Achille Lauro da parte di quattro militanti palestinesi, durante il quale un passeggero americano disabile fu ucciso. Nonostante il governo italiano avesse negoziato con successo la resa dei dirottatori grazie all’intervento del leader palestinese Yasser Arafat, il presidente americano Ronald Reagan decise di agire. Quando il Boeing egiziano che trasportava i dirottatori fu scortato da due aerei militari americani all’aeroporto di Sigonella, in Sicilia, la situazione precipitò.

All’atterraggio, un contingente di Carabinieri circondò l’aereo, mentre i soldati americani della Delta Force circondarono a loro volta i Carabinieri. Si generò così uno stallo armato. Reagan telefonò a Craxi per chiedere l’estradizione degli attentatori, ma Craxi rifiutò, sostenendo che i crimini, avvenuti su una nave italiana in acque internazionali, dovevano essere giudicati in Italia. Come dichiarò in un’intervista anni dopo: «Non volarono parole grosse, semmai parole ferme». Alla fine, furono gli Stati Uniti a cedere: i dirottatori e i mediatori furono trasferiti a Roma, chiudendo la crisi.

Politica interna di Craxi

Sul fronte economico, i governi Craxi si distinsero soprattutto per la lotta all’inflazione, un problema cronico dell’Italia in quegli anni. Uno dei principali interventi fu la riforma della “scala mobile”, che indicizzava automaticamente gli stipendi all’aumento dei prezzi. Questo sistema, seppur nato per tutelare i salari, aveva innescato una spirale inflazionistica. Con un decreto, Craxi ridusse questa indicizzazione, riuscendo a frenare l’inflazione.

Nonostante l’accordo con i sindacati, il PCI criticò aspramente il provvedimento, e la tensione raggiunse il culmine al congresso socialista di Verona nel 1984. Qui, Enrico Berlinguer, segretario del PCI, fu accolto con fischi e grida al suo ingresso. Craxi, sebbene dispiaciuto per la mancanza di rispetto, interpretò l’accaduto come una chiara manifestazione politica: «I fischi non erano diretti a una persona, ma a una linea politica». Con un tocco di ironia, aggiunse: «Non posso unirmi ai fischi solo perché non so fischiare», suscitando un’ovazione.

La battaglia politica sulla “scala mobile” culminò con un referendum abrogativo promosso dal PCI, che però non raggiunse il risultato sperato: la riforma rimase in vigore. Tuttavia, su altre questioni economiche, come il deficit e il debito pubblico, i governi Craxi e gli altri governi degli anni Ottanta non ottennero gli stessi risultati. Nel decennio, il rapporto debito/PIL aumentò dal 55% al 95%, e il deficit rimase quasi sempre sopra il 10% del PIL, ben al di sopra della “regola del 3%” introdotta nel 1992 con il trattato di Maastricht.

condividi sui social
condividi su facebook condividi su x condividi su linkedin condividi su whatsapp
ARTICOLI RECENTI
LEGGI ANCHE