Cos’è l’après-ski? Se non lo sapete forse non fate parte di quella cerchia elitaria di destra che vanta un nuovo tipo di antimeridionalismo sui social. Se invece avete capito di cosa stiamo parlando, forse non vi è sfuggito nemmeno l’ultimo triste (concedetecelo) trend di Tik Tok, che vede giovani e meno giovani raccontare la felicità che provano nel potersi permettere uno skipass senza problemi, nel poter fare après-ski sorseggiando cocktail da 15 euro, e nel non essere poveri, comunisti e soprattutto, terroni.
Questo ed altri video virali simili che si possono trovare sui social in questo periodo, non sono altro che il riflesso di un antimeridionalismo introiettato, dal quale facciamo fatica a liberarci, e che a ben vedere non nasce con noi, ma in noi esite in funzione di un archetipo ancora più antico che riguarda tutto il sud del mondo: quello della povertà, della lentezza, dell’ignoranza e allo stesso tempo della delinquenza accattona.
L'antimeridionalismo è un fenomeno che affonda le sue radici nell'epoca post-unitaria italiana, e che ancora oggi si nutre e si riconferma grazie a pregiudizi e stereotipi negativi nei confronti del Sud Italia. Dopo l'Unità d'Italia nel 1861, il Mezzogiorno venne spesso percepito come una "palla al piede" per il progresso nazionale, descritto come arretrato, superstizioso e violento. Questa narrazione contribuì a consolidare un'immagine negativa del Sud, giustificando politiche paternalistiche o discriminatorie da parte delle élite settentrionali.
Nonostante l’Italia sia un Paese unitario da 164 anni, la narrazione che gira intorno al Sud Italia è purtroppo ancora farcita di quei luoghi comuni, stereotipi e discorsi che si basano sul confronto tra un Nord simbolo di progresso, sviluppo e soprattutto guadagno, e un Sud che è invece tutto il contrario, e che in virtù di questo “sfrutta” o addirittura “ruba” la ricchezza prodotta al settentrione per resistere e continuare a “galleggiare” in mare placido di assistenzialismo gratuito.
La realtà però è ben diversa, perché il meridione ha sempre assunto il ruolo di “riserva”: riserva di manodopera data da tutti quei figli del sud che abbandonati dalle istituzioni e dalle infrastrutture sono stati costretti ad andare via, allargando le fila di lavoratori di cui il Nord si fa patria. Ma anche riserva di idee e talenti, che allo stesso modo si sono nei secoli scontrati con una sostanziale assenza di percorsi e prospettive, e sono stati costretti a spostarsi per potersi esprimere.
Guardando ai dati concreti, l’Istat dipinge un’immagine del Sud Italia che potrebbe definirsi sconfortante, con un alto tasso di emigrazione interna verso il nord, e un’attrattiva bassissima soprattutto per quanto riguarda la Basilicata e la Calabria. Secondo il report sulle migrazioni interne e internazionali della popolazione residente nel biennio 2022-2023, le province meno attrattive d’Italia sono Caltanissetta, Reggio di Calabria e Crotone, soprattutto per i giovani.
In totale sono circa 550 mila le persone che hanno lasciato il Mezzogiorno per il Centro-Nord d’Italia nel decennio 2014-2023. Un dato preoccupante che ci riporta a parlare di “questione meridionale”, ma in maniera differente rispetto a prima: se fino a ieri le carenze del Sud Italia venivano tradotte in azioni e politiche attive per ridurre il gap tra Italia settentrionale e Italia meridionale e cercare di trattenere le persone dal lasciare la loro terra, ad oggi questo gap sembra non essere più un problema da risolvere, quanto una realtà con cui fare pace.
E a dare l’esempio di questo nuovo atteggiamento “acquiescente”, purtroppo, c’è proprio il governo Meloni, che in un solo colpo ha condannato il Sud Italia a combattere da solo la sempiterna battaglia per il riconoscimento e l’unita, attraverso il Ddl Calderoli sull’autonomia differenziata delle regioni.
Una manovra che sa di vera e propria discriminazione politica istituzionalizzata, e che si traduce sostanzialmente nell’abbandonare il Sud, premiando al contempo il Nord, in base ai livelli di fatturato in vari ambiti della cosa pubblica. Un decreto che è stato bocciato dalla Commissione Europea, dalla Banca d’Italia e da SVIMEZ, l’associazione che promuove lo studio delle condizioni economiche del Mezzogiorno.
Il presidente di SVIMEZ, Adriano Giannola, è stato molto chiaro riguardo al decreto, in merito al quale ha dichiarato: “Stiamo regredendo e spaccando il Paese in due, è un suicidio collettivo”.
Ma allora se è chiaro un po’ a tutti che questo antimeridionalismo non solo non ha senso a livello sociale e comunitario, perché perpetua stereotipi e mistificazioni e veicola delle immagini ormai stantie di un’intera parte del nostro paese. Ma tantomeno ha senso in temini politici ed economici in quanto rischia di spaccare il paese in due, in barba a tutti quegli esponenti politici che volevano annullare il divario tra “le due Italie”, allora forse dobbiamo metterci sotto la lente di ingrandimento e capire da dove proviene questo atteggiamento, questa convinzione classista che esista una differenza tra Nord e Sud Italia.
In un TEDX a Lungarno Mediceo, Claudia Fauzia, attivista ed economista esperta in studi di genere e delle donne, conosciuta ai tempi come “La Terrona”, afferma che esistono tante forme di antimeridionalismo: alcune più esplicite e diffuse, come i vari appellativi negativi che vengono assegnati ai “terroni” per l’appunto, altre più sottili e subdole, come la malafede presunta che non si dice, ma si pensa, fino ad arrivare a forme di antimeridionalismo costituzionale, che sono nate con l’unità d’Italia e ancora oggi non vogliono morire.
Come dice Claudia Fauzia, “dovremmo riconoscere la responsabilità collettiva che abbiamo nella costruzione subalterna del Meridione”, e abbandonare l’idea di un Sud pericoloso, mafioso e ostile, che ci facciamo piacere per due settimane d’estate, ma dal quale poi fuggiamo tutto il resto dell’anno.