Ci sono notti in cui un talento smette di essere una promessa per diventare realtà. Quella di ieri, al Montjuïc, è stata una di quelle notti. Lamine Yamal, classe 2007, ha incantato il mondo intero con una prestazione che va ben oltre l’etichetta del “giovane prodigio”. Ha trascinato il Barcellona nella semifinale di Champions League contro l’Inter, diventando il protagonista assoluto di una partita che sembrava persa dopo il doppio vantaggio nerazzurro.
Con personalità, tecnica e spregiudicatezza, Yamal ha scardinato la difesa italiana e ridato fiato a una squadra spenta, dimostrando che non serve aver compiuto 18 anni per prendersi la scena a certi livelli. È stato dominante, ispirato, devastante. Ha giocato praticamente da solo, assumendosi responsabilità che solitamente spettano ai veterani. E allora la domanda è inevitabile: siamo davvero di fronte all’erede di Messi?
Non appena finita la partita, sono piovuti i paragoni. Da Messi a Maradona, il repertorio è sempre lo stesso quando un giocatore mostra colpi da fenomeno. Ma è davvero giusto accostare un diciassettenne, per quanto brillante, ai più grandi della storia del calcio? I paragoni, per quanto affascinanti, rischiano di soffocare l’identità di un talento che ha tutto per essere unico. Lionel Messi è un’icona assoluta, irripetibile, e lo stesso vale per Maradona.
Ma ciò che affascina in Yamal è la possibilità che possa scrivere una storia completamente diversa, nuova, solo sua. Inzaghi, pur sconfitto e scosso dalla rimonta del Barça, lo ha detto chiaramente in conferenza stampa: “Campioni così nascono una volta ogni 50 anni”. Parole che non suonano come una semplice lode, ma come un’investitura. Perché chi ha assistito a Barcellona-Inter ieri ha visto qualcosa di raro: un talento che, al netto della carta d’identità, ha già una maturità fuori dal comune.
Ma cosa rende davvero speciale Lamine Yamal? Non solo i numeri, già impressionanti, o i record di precocità infranti uno dopo l’altro. Il suo vero tratto distintivo è l’imprevedibilità. È un attaccante esterno che può rientrare sul mancino ma anche sfondare sul piede debole con naturalezza; che punta l’uomo senza paura, dribbla in spazi stretti, e mantiene lucidità anche in area.
Contro l’Inter è stato semplicemente incontenibile: ha creato l’azione del gol dell’1-2 con una giocata da fuoriclasse, ha colpito la traversa dopo un’accelerazione fulminante dalla linea di fondo e ha costretto costantemente la retroguardia avversaria a raddoppi e corse disperate. Eppure, ogni volta sembrava sempre un passo avanti. I suoi 15 gol stagionali, i 34 tra reti e assist, sono la prova di un talento già decisivo ad altissimi livelli.
Ma oltre ai dati, c'è il linguaggio del corpo, l’istinto di chi capisce il gioco come pochi. Sembra che Yamal non abbia nemmeno attraversato le giovanili, come se fosse arrivato al calcio professionistico da autodidatta, con un'intelligenza calcistica innata. E questo è ciò che lo distingue: non gioca “bene per la sua età”, gioca da fuoriclasse, punto.
E allora forse è arrivato il momento di smettere di cercare il “nuovo Messi” o il “nuovo Maradona”, e semplicemente accettare Lamine Yamal per quello che è: un fenomeno. Certo, la strada è ancora lunga, e nessuno può prevedere con certezza cosa sarà tra cinque o dieci anni. Ma ciò che è certo è che questo ragazzo ha qualcosa di diverso.
Ha la capacità di rendere semplice ciò che è difficile, di accendere una squadra spenta, di portare bellezza su un campo di calcio. I tifosi del Barcellona lo adorano, i compagni si affidano a lui senza esitazione, e gli avversari iniziano a temerlo. Ma la cosa più sorprendente è che lui, Lamine, sembra tutto questo lo stia vivendo con la leggerezza di chi gioca al parco sotto casa.