Al Meeting di Rimini Mario Draghi è tornato a parlare con l’autorevolezza che lo contraddistingue, mettendo in guardia l’Europa sui rischi che corre se resta ferma nelle proprie certezze. L’ex presidente della Banca centrale europea e già premier italiano, accolto con applausi e inviti a rientrare in politica, ha scelto un tono diretto, alternando ricordi personali e analisi politica.
Non ha nascosto le contraddizioni di un’Unione che, pur vantando una solida base economica, ha scoperto di contare poco sul piano geopolitico. Per spiegarsi, Draghi ha ricordato la sua tesi universitaria contraria alla moneta unica e il “whatever it takes” che anni dopo ha salvato l’euro: due estremi della sua vita che raccontano come anche le idee più scettiche possano trasformarsi in convinzioni quando la realtà lo impone.
Il filo conduttore del discorso è stato chiaro: l’Europa deve smettere di illudersi che il suo peso economico basti a renderla influente. La stagione dei “consumatori come potere” è finita e l’elezione di Donald Trump, con la sua politica protezionista e il ritorno dei dazi, è stata per Draghi una sveglia brutale. Da allora, ha osservato, gli Stati Uniti hanno imposto la loro agenda, costringendo i partner europei ad aumentare le spese militari e marginalizzandoli nei negoziati su Ucraina, Medio Oriente e Iran. Un campanello d’allarme che obbliga a un cambio di passo.
Nella visione di Draghi, gli anni recenti hanno spazzato via la comoda illusione che la sola dimensione economica potesse trasformarsi in potere politico. La guerra in Ucraina, la crisi in Medio Oriente, l’isolamento nei negoziati internazionali hanno reso evidente quanto poco peso abbiano avuto le istituzioni europee fuori dai confini comunitari. L’ex premier ha fatto esempi concreti: da un lato, miliardi di euro versati a Kiev per sostenere la resistenza, dall’altro l’assenza di un ruolo riconoscibile ai tavoli della diplomazia.
Questo divario, secondo Draghi, non è sostenibile. Se l’Europa continuerà a vivere di rendita, limitandosi a difendere il proprio benessere interno, resterà spettatrice delle decisioni altrui. Non basta avere un grande mercato: servono unità politica, decisioni rapide e capacità di muoversi come un unico soggetto. È un cambio di mentalità, prima ancora che di regole. E per sottolineare quanto ciò sia urgente, Draghi ha evocato Carlo Azeglio Ciampi:
Se il passato recente ha mostrato i limiti, la strada da percorrere per Draghi è altrettanto chiara: più integrazione, non meno. Distruggere l’Unione europea per tornare alle sovranità nazionali, ha detto, significherebbe esporci ancora di più alle pressioni delle grandi potenze. La vera sfida è invece costruire un’Europa capace di agire. E qui Draghi ha rilanciato l’idea di un nuovo debito comune, sul modello di quanto avvenuto con il Next Generation EU durante la pandemia.
L’argomento è pragmatico: nessun singolo Paese europeo è in grado di reggere da solo i costi delle grandi trasformazioni globali, dalle tecnologie all’energia fino alla difesa. Servono strumenti comuni, risorse condivise, capacità di pensare su scala continentale. In passato l’Europa ha dimostrato di sapersi muovere: lo si è visto con la campagna di vaccinazione, con la reazione compatta all’invasione russa dell’Ucraina. Ma sono state risposte a emergenze. Il passo successivo deve essere farlo anche in tempi ordinari, superando rigidità e lentezze che paralizzano l’Unione.
Nell’ultima parte del discorso Draghi ha scelto un tono più ottimista, quasi da motivatore politico. Ha ricordato che non mancano segnali incoraggianti: la recente presenza unitaria dei leader europei a Washington, ad esempio, ha trasmesso ai cittadini un’immagine di compattezza ben più efficace di tante riunioni tecniche a Bruxelles. Ed è proprio questo il punto: l’Europa deve imparare a parlare con una sola voce, diventare protagonista invece che comparsa nello scenario internazionale.
Il messaggio finale è stato un appello diretto ai governi: trasformare lo scetticismo in azione, abbandonare la passività, restituire all’Unione la capacità di decidere. Pace, sicurezza, indipendenza: queste le parole chiave che Draghi ha consegnato al Meeting. L’Europa, ha concluso, non è soltanto un progetto economico o un vincolo burocratico. È la più grande opportunità per garantire un futuro comune, e rinunciarvi significherebbe condannarsi all’irrilevanza.