"L’ultima volta che siamo stati bambini" è il debutto alla regia di Claudio Bisio che riesce magistralmente a portare sullo schermo un romanzo toccante, ambientato in una Italia in guerra, durante la seconda guerra mondiale.
Il film racconta la forza dell’amicizia infantile davanti all’orrore e alla perdita. Con toni delicati ma profondi, ci accompagna verso un finale che riesce a essere allo stesso tempo struggente e pieno di significato.
Prima di continuare nella lettura, guarda il trailer di questo film straordinario, in classifica su Netflix questa settimana:
Immagina la Roma del 1943, occupata dai tedeschi. In mezzo al caos e alla paura, quattro ragazzini – Italo, Cosimo, Vanda e Riccardo – vivono la loro infanzia giocando per le strade, quasi ignorando quella vera che li circonda.
Provengono da realtà molto diverse: il padre di Italo è un fascista convinto, quello di Cosimo è al confino perché dissidente, Vanda è orfana e la famiglia di Riccardo è ebrea.
Ma a quell'età, le etichette degli adulti contano poco; ciò che li lega è un'amicizia forte, un patto quasi sacro sigillato con il gioco e la complicità.
Questa bolla di innocenza si infrange brutalmente il 16 ottobre, quando avviene il rastrellamento del ghetto di Roma.
Riccardo scompare, portato via insieme a tanti altri. Per i suoi amici è incomprensibile, inaccettabile.
Nella loro logica infantile, i "grandi" fanno la guerra tra loro, ma i bambini non si toccano. Convinti di questo, e fedeli al loro legame, Italo, Cosimo e Vanda prendono una decisione tanto coraggiosa quanto ingenua: scappare di casa per andare a cercare Riccardo. Credono di poter marciare fino in Germania e riportarlo indietro, come in una delle loro avventure immaginarie.
Inizia così un viaggio assurdo attraverso un'Italia ferita, irriconoscibile. Seguendo i binari del treno, attraversando campagne desolate e paesi svuotati, i tre amici si scontrano con la dura realtà della guerra.
Vedono la fame, la sofferenza, la paura negli occhi degli adulti. Scoprono sulla loro pelle che i soldati tedeschi non sono figure di un gioco, ma una presenza ostile e pericolosa. Ogni passo avanti in questa impresa impossibile è un passo che li allontana dalla spensieratezza dell'infanzia.
Vanda, forse la più matura del gruppo, capisce prima degli altri che quel viaggio li sta cambiando nel profondo. L'innocenza sta sparendo e viene man mano sostituita con la consapevolezza.
Non potranno più tornare quelli di prima. L'unica cosa che possono fare è cercare di diventare la versione migliore possibile degli adulti che la guerra li sta costringendo a essere prematuramente.
Ma il prezzo di questa crescita forzata è altissimo. Durante il cammino, il piccolo Italo si ammala gravemente, la febbre lo consuma. Una mattina, dopo aver dormito all'addiaccio, Cosimo e Vanda cercano di svegliarlo, ma Italo non risponde. All'inizio non si allarmano troppo, pensano sia solo la stanchezza della malattia.
Sarà Suor Agnese – che insieme al fratello maggiore di Italo si era messa sulle loro tracce per riportarli a casa – a dover dare voce alla verità più terribile: Italo non dorme, il suo viaggio è finito per sempre. È diventato, come sussurra la suora per consolarli, un angelo.
Il film, il primo lungometraggio diretto da Claudio Bisio e basato sull'omonimo romanzo di Fabio Bartolomei.
Bisio riesce a portare sullo schermo tutti i dettagli di questa storia toccante, interpretata dai giovani Alessio Di Domenicantonio (Italo), Vincenzo Sebastiani (Cosimo) e Carlotta De Leonardis (Vanda).
Guarda l'intervista agli attori, grazie al canale Fondazione Gariwo:
Il lavoro fatto è sublime e il racconto di questa amicizia infranta dalla brutalità della guerra, e di quell'ultimo, fugace momento in cui poterono davvero essere solo bambini, ci travolge.
Preparate i fazzoletti, perché non si potrà non piangere.