14 May, 2025 - 16:22

Shein e Temu: le accuse sulle condizioni lavorative sotto i riflettori

In collaborazione con
Stefania Cardellicchio
Shein e Temu: le accuse sulle condizioni lavorative sotto i riflettori

Shein e Temu, colossi dell’e-commerce noti per i loro prezzi ultra-competitivi, sono finiti al centro di numerose accuse legate alle condizioni lavorative nelle loro catene di approvvigionamento. Entrambe le aziende, di origine cinese ma con una presenza globale in espansione, sono state criticate per presunte pratiche di sfruttamento, lavoro forzato e mancanza di trasparenza.

Le accuse contro Shein e Temu: lavoro forzato e sfruttamento 

Le critiche a Shein e Temu si concentrano principalmente sulle condizioni nei loro stabilimenti in Cina e nel Sud-est asiatico. Un rapporto del Congresso USA del 2023 ha evidenziato un “rischio estremamente alto” che i prodotti di Temu siano legati al lavoro forzato, in particolare nella regione dello Xinjiang, dove si sospetta l’uso di manodopera uigura. Temu è stato accusato di non condurre audit e di affidarsi solo a termini contrattuali generici per prevenire tali pratiche, senza un sistema di conformità reale. Shein, d’altro canto, è stato messo sotto pressione per l’uso di cotone proveniente da Xinjiang e per le condizioni nei suoi fornitori.

Un’indagine di Channel 4 del 2022 ha rivelato che i lavoratori di alcune fabbriche Shein guadagnavano meno di 1 euro per capo, lavorando fino a 18 ore al giorno con un solo giorno libero al mese. Nel 2025, la pressione è aumentata. Il Comitato per gli Affari e il Commercio del Parlamento britannico ha interrogato i dirigenti di entrambe le aziende a gennaio, chiedendo chiarimenti sulle loro catene di approvvigionamento. Shein ha evitato di rispondere direttamente su Xinjiang, mentre Temu ha dichiarato di vietare venditori da quella regione. Tuttavia, il presidente del comitato, Liam Byrne, ha definito le risposte “inaccettabili” e prive di trasparenza, sollevando dubbi sulla loro credibilità.

Su X, utenti come @pinkykhoabane hanno sottolineato come queste aziende siano implicate in “lavoro minorile e forzato”, amplificando le preoccupazioni globali.

Shein e Temu: Le risposte delle aziende e il contesto attuale

Shein e Temu hanno risposto alle accuse con dichiarazioni ufficiali. Shein sostiene di rispettare i diritti umani e di avere una politica di “tolleranza zero” sul lavoro forzato, collaborando con revisori esterni per migliaia di audit annuali.

Nel 2023, ha investito 15 milioni di dollari per migliorare le condizioni nelle fabbriche dei fornitori, ma critici come Sheng Lu dell’Università del Delaware affermano che “le condizioni dei lavoratori restano un mistero”. Temu, di proprietà di PDD Holdings, insiste sul divieto di lavoro forzato nel suo Codice di Condotta per i fornitori e nega le accuse di non conformità, ma non ha fornito dettagli su audit specifici.

Nel 2025, il dibattito si è intensificato con Shein che prepara una quotazione a Londra da 60 miliardi di euro e Temu che domina le classifiche delle app scaricate. Entrambe sfruttano la regola “de minimis” negli USA, che consente spedizioni sotto gli 800 dollari senza dazi o ispezioni, un vantaggio che il Congresso sta rivedendo per possibili abusi legati al lavoro forzato. Il team di Donald Trump, secondo Semafor (febbraio 2025), sta considerando di aggiungerle alla lista del lavoro forzato del DHS, anche se nessuna decisione è stata presa. Nel frattempo, le denunce legali contro i loro corrieri, come UniUni, accusati di sottopagare i lavoratori, aggiungono ulteriori ombre. Le accuse a Shein e Temu riflettono una sfida più ampia nel settore della fast fashion: bilanciare prezzi bassi con etica. Mentre i consumatori apprezzano l’accessibilità, cresce la consapevolezza dei costi umani dietro questi prodotti.

A cura di Stefania Cardellicchio

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