Una fotografia, ancora una volta drammatica, delle condizioni in cui versa il sistema penitenziario italiano, sempre più vicino al “rischio di deflagrazione” definitivo. A peggiorare ulteriormente il quadro, secondo “Senza Respiro”, il XXI Rapporto di Antigone sulle condizioni di detenzione presentato oggi a Roma, ci sono anche le nuove disposizioni introdotte dal decreto Sicurezza.
Sovraffollamento record, carenza di personale, diritti sempre più compressi. Soprattutto, denuncia Antigone, una pericolosa deriva punitiva che rischia di compromettere la tenuta costituzionale dell’intero sistema carcerario. Il riferimento è chiaro: ad allarmare sono le conseguenze dell’entrata in vigore del decreto Sicurezza, fortemente voluto dalla maggioranza di Governo – che lo ha convertito in decreto dopo averlo presentato come disegno di legge - che introduce 14 nuovi reati e 9 inasprimenti di pena.
Tra questi, spicca in particolare il controverso reato di resistenza passiva, applicabile anche all’interno delle carceri. Una misura che, secondo l’associazione, rischia di criminalizzare ulteriormente il dissenso non violento, aggravando le già critiche condizioni detentive.
In un contesto segnato da sovraffollamento record, carenza di spazi e opportunità e condizioni igienico-sanitarie critiche, l’introduzione del nuovo reato di rivolta penitenziaria – applicabile anche in caso di resistenza passiva dei detenuti – rischia, secondo l’associazione Antigone, di aggravare ulteriormente la già fragile situazione delle carceri italiane.
Il nuovo delitto, infatti, prevede pene altissime, in alcuni casi superiori a quelle previste per reati come i maltrattamenti in famiglia. Una sproporzione che solleva dubbi non solo sulla ratio della norma – punire anche chi manifesta pacificamente, ad esempio con lo sciopero della fame, per denunciare un disagio o reclamare un diritto – ma anche sulle conseguenze pratiche che l’applicazione del reato potrebbe generare nel sistema penitenziario.
Per comprendere il problema, basta guardare ai numeri. Solo nel 2024, nelle carceri italiane si sono verificati circa 1.500 episodi di protesta collettiva non violenta. Forme di dissenso come lo sciopero della fame sono cresciute del 35%, il rifiuto del vitto o delle terapie del 21%, l’astensione dalle attività del 7%, le battiture del 39%, mentre il rifiuto di rientrare nelle celle ha fatto registrare un’impennata del 64%.
Tentando una stima, e ipotizzando che ciascuno di questi episodi abbia coinvolto almeno quattro detenuti, si potrebbe arrivare a fine anno a circa 6.000 persone potenzialmente interessate dall’applicazione del reato di resistenza passiva. Se, come sottolinea Antigone, queste venissero condannate a una media di quattro anni di carcere ciascuna, si arriverebbe a un totale di 24.000 anni aggiuntivi di detenzione. Una sanzione ulteriore inflitta a persone già private della libertà, alle quali sarebbe inoltre precluso l’accesso a misure alternative.
Un vero e proprio boom repressivo che determinerà un ulteriore aumento della popolazione carceraria, a fronte del quale l'annunciato ampliamento della capacità delle strutture rischia di rivelarsi del tutto insufficiente.
L’introduzione di nuove fattispecie di reato e l’inasprimento delle pene previste dal contestato decreto Sicurezza avranno un impatto, avverte Antigone, su una situazione già al limite. Al 30 aprile 2025, infatti, risultavano presenti nelle carceri italiane oltre 62.000 detenuti, a fronte di una capienza regolamentare di circa 51.000 posti. Il quadro è reso ancora più critico dal fatto che, negli ultimi due anni, la capienza effettiva degli istituti è calata di circa 900 posti, mentre la popolazione detenuta è cresciuta di oltre 5.000 unità.
Degli attuali 189 istituti penitenziari presenti sul territorio nazionale, solo 36 non risultano sovraffollati, mentre in 58 carceri il tasso di affollamento supera addirittura il 150%. Gli istituti più in difficoltà sono Milano San Vittore, Foggia e Lucca, strutture che oggi ospitano il doppio delle persone rispetto alla loro capacità effettiva.
A peggiorare ulteriormente il quadro, le condizioni materiali. In un terzo degli istituti visitati lo scorso anno, le celle non garantivano neppure i 3 metri quadri calpestabili a persona. In dodici carceri sono state riscontrate celle prive di riscaldamento, in quarantatré mancava l’acqua calda, in cinquantatré l’accesso alla doccia e in quattro istituti i servizi igienici non erano collocati in ambienti separati.
A fronte dell’aumento della popolazione carceraria – e degli effetti diretti delle politiche del Governo – la domanda inevitabile è come potrà reggere il sistema penitenziario. Se l’esecutivo ha scelto di puntare tutto sul rafforzamento dell’edilizia carceraria, escludendo ogni ipotesi di alleggerimento della pressione detentiva – come amnistie, indulti o anche solo un più ampio ricorso alla liberazione anticipata – Antigone mette in guardia: per contenere l’attuale tendenza alla crescita del numero di detenuti, sarebbe necessario costruire sei nuovi istituti l’anno, per una spesa complessiva di almeno 180 milioni di euro, senza contare i costi legati al personale. Una spesa enorme, impossibile da sostenere, a meno di non chiedere ai cittadini italiani un “impegno fiscale straordinario”, con costi sociali ed economici tutt’altro che marginali.
Carenza di spazi, mancanza di opportunità, condizioni di detenzione sempre più precarie: tutto questo contribuisce ad aggravare i problemi di salute fisica e psicologica della popolazione carceraria.
Complessivamente, nel 2024, si sono registrati 246 decessi tra i detenuti, di cui 91 per suicidio: un numero che rende il 2024 l’anno con più morti in carcere di sempre, segnando un ulteriore peggioramento di un’emergenza ormai strutturale.
La situazione, alla luce delle novità introdotte dal decreto Sicurezza, non sembra destinata a migliorare. Al contrario, l’inasprimento delle norme e la stretta sugli spazi di dissenso rischiano di comprimere ulteriormente le possibilità di esprimere il disagio, aumentando la tensione interna e, con essa, i rischi per l’incolumità psicofisica dei detenuti.
Le proteste, sottolinea Antigone, provengono in larga parte dalle fasce più fragili della popolazione carceraria: tossicodipendenti, persone senza fissa dimora, stranieri privi di un’adeguata difesa legale, detenuti con disturbi psichiatrici. E proprio su questi soggetti vulnerabili si abbatte l’effetto più violento di un sistema che, oggi, tenderà a sopportare sempre meno il dissenso e la protesta, pur quando pacifica.