L’aumento Irpef potrebbe presto tradursi in un aggravio per migliaia di contribuenti italiani, in particolare quelli appartenenti al ceto medio. Una possibile revisione delle aliquote fiscali è all’esame delle autorità regionali, con effetti stimati fino a 70 euro annui in più per singolo contribuente.
L’obiettivo non sarebbe quello di introdurre nuove tasse, ma di correggere un disallineamento tecnico generato dalla recente riforma Irpef, che ha ridotto gli scaglioni da quattro a tre.
Insomma, l’adeguamento della struttura delle addizionali regionali Irpef è ormai inevitabile. Ma quali sono le cause di questo intervento? Chi sarà realmente colpito dalla revisione? E come si sono già mosse altre Regioni davanti allo stesso scenario?
Nel contesto normativo attuale, il Piemonte è una delle Regioni che deve procedere al riallineamento delle proprie addizionali regionali Irpef con la nuova struttura nazionale a tre scaglioni.
L’introduzione della riforma Irpef 2022, infatti, ha modificato profondamente la distribuzione delle aliquote, accorpando i redditi compresi tra 15.000 e 50.000 euro in un unico scaglione. Tuttavia, molte Regioni - incluso il Piemonte - continuano a calcolare le addizionali sulla base della vecchia struttura a quattro scaglioni.
Tale scostamento rischia di produrre, a partire dal 2028, un disavanzo stimato in circa 150 milioni di euro l’anno per il bilancio regionale. Per evitare tale perdita, l’aumento dell’addizionale Irpef viene ora considerato come una misura necessaria.
L’amministrazione regionale ipotizza un incremento limitato solo ad alcune fasce di reddito, escludendo i contribuenti con redditi inferiori a 15.000 euro.
L’aumento Irpef proposto non avrebbe quindi finalità redistributive, ma servirebbe esclusivamente a preservare l’equilibrio dei conti pubblici regionali.
Secondo le simulazioni tecniche attualmente sul tavolo, l’aumento Irpef 2025 colpirebbe principalmente i redditi intermedi, ovvero quelli compresi tra 15.000 e 28.000 euro. In questa fascia, l’aliquota potrebbe crescere dello 0,62%, determinando un aggravio fino a 70 euro annui per contribuente.
Si tratterebbe di un effetto collaterale dell’accorpamento dei vecchi scaglioni Irpef in uno solo, che obbliga a una ridefinizione delle aliquote regionali.
I contribuenti con redditi tra 28.000 e 50.000 euro, già presenti nello stesso scaglione, invece, sarebbero interessati in misura minore, mentre i redditi più alti non subirebbero variazioni poiché già soggetti all’aliquota massima regionale.
Le forze di opposizione si sono dichiarate contrarie a questa revisione, evidenziando che il ceto medio è già gravato da numerosi aumenti e penalizzazioni fiscali. Alcuni esponenti politici hanno richiamato precedenti simili, come la revisione delle esenzioni sul bollo auto per le ibride, per sottolineare un trend preoccupante di aumento del carico fiscale.
Intanto, il Partito Democratico chiede trasparenza sull’effettiva portata del provvedimento: quali redditi saranno colpiti e quanto inciderà sulla pressione fiscale complessiva?
L’adeguamento alle nuove soglie della riforma Irpef è già stato affrontato da diverse Regioni italiane. Lazio, Emilia Romagna, Toscana, Marche e Liguria hanno proceduto ad aggiornare le addizionali Irpef regionali, introducendo in molti casi una maggiore progressività e tutelando i contribuenti con redditi più bassi. Alcune amministrazioni hanno scelto di rafforzare le detrazioni o prevedere soglie di esenzione.
Le misure adottate dimostrano che un aumento Irpef non è l’unico strumento a disposizione delle Regioni. Tuttavia, in assenza di coperture alternative, si riduce drasticamente il margine d’azione.
In Piemonte, tra le ipotesi considerate, c’è quella di esentare totalmente i redditi fino a 15.000 euro, lasciando il carico aggiuntivo sui segmenti centrali del sistema.
Un’altra strada sarebbe la riduzione delle spese correnti regionali per recuperare il disavanzo strutturale. Una manovra complessa, che richiede tempo e una revisione profonda dei capitoli di spesa. Qualsiasi scelta, però, resta in sospeso fino al pronunciamento della Corte dei Conti, atteso per metà luglio, che potrebbe confermare o bloccare l’ipotesi di revisione delle aliquote.