19 Jul, 2025 - 12:24

La morte di Gabriele Sandri, quando un agente di polizia viene incriminato per omicidio

La morte di Gabriele Sandri, quando un agente di polizia viene incriminato per omicidio

L’11 novembre 2007, l’Italia fu scossa da una tragica notizia: Gabriele Sandri, giovane tifoso della Lazio, veniva ucciso da un colpo di pistola sparato dall’agente della polizia stradale Luigi Spaccarotella in un’area di servizio dell’autostrada A1, nei pressi di Arezzo. Il proiettile, destinato presumibilmente a placare alcuni tafferugli fra tifosi di Lazio e Juventus, colpì invece Sandri al collo mentre dormiva, ignaro di tutto, sul sedile posteriore di una Renault Mégane. Un solo colpo, sparato da oltre cinquanta metri di distanza, cambiò per sempre la vita di due famiglie e segnò la coscienza collettiva del Paese.

La dinamica dell'incidente

La mattina della tragedia era iniziata come una giornata qualunque. Nell’area di servizio, però, la tensione fra le opposte tifoserie sfociò in scontri. Spaccarotella, presente sul posto, decise di intervenire sparando un colpo di pistola dall’altra parte della carreggiata. L’intenzione, secondo la successiva versione difensiva, era quella di colpire le ruote di un’auto in fuga e interrompere i tafferugli. La realtà si dimostrò molto diversa: il proiettile, esploso a braccia tese e a una distanza che nessun addestramento di tiro consiglia, uccise Sandri all’istante.

Una questione di responsabilità

Le conseguenze del gesto di Spaccarotella aprirono subito un acceso dibattito, non solo nell’opinione pubblica ma anche tra giuristi e criminologi. A distanza di quasi vent'anni da quella tragedia, il programma "Psiche criminale" su Canale 122 è tornato ad affrontare il caso con prestigiosi ospiti.

Carlo Taormina, autorevole avvocato penalista, ha sottolineato la gravità della decisione presa dall’agente, giudicandola una scelta folle, frutto di un’insensata sopravvalutazione delle proprie capacità. Spaccarotella ha sempre sostenuto di aver mirato alle ruote del veicolo e che la morte di Sandri sia stata una tragica fatalità. Tuttavia, secondo Taormina, l’azione dell’agente oscilla tra colpa e dolo eventuale: non c’era volontà diretta di uccidere, ma una chiara accettazione del rischio, simile al “caso del lanciatore di coltelli” che mira a un oggetto, ma può facilmente sbagliare bersaglio.

Il percorso giudiziario

Il processo celebrato nei confronti di Spaccarotella si svolse in più gradi di giudizio. In primo grado, fu condannato per omicidio colposo e gli vennero inflitti sei anni di reclusione. In appello, la qualificazione del reato mutò in omicidio volontario con dolo eventuale, aggravando la pena a nove anni e cinque mesi. La Cassazione confermò questa lettura: pur non volendo uccidere, l’agente aveva deliberatamente corso il rischio che la sua azione potesse provocare la morte di qualcuno.

Le falle nei protocolli di sicurezza

Il caso Sandri evidenziò pericolose lacune nei protocolli operativi delle forze dell’ordine. Il criminologo Emiliano Fabbri, sempre nella puntata di "Psiche criminale" su Canale 122, ha evidenziato come la distanza di tiro – cinquanta metri – rendesse l’atto altamente imprudente. Le esercitazioni al poligono vengono infatti eseguite a massimo 30 metri, e nessuna norma prevede l’uso dell’arma in contesti aperti e trafficate autostrade, dove possono essere messi a rischio anche altri ignari passanti. Spaccarotella agì da solo, senza concertarsi con i colleghi, alimentando così la sensazione di una decisione tanto autonoma quanto avventata.

Oltre la tragedia: le domande inevase

Al di là della sentenza, restano interrogativi profondi: che cosa induce una persona, addestrata alla gestione del rischio, a compiere un gesto tanto pericoloso? E come si può pensare di fermare un’auto, in movimento e in fuga, mirando a una ruota da cinquanta metri senza mettere a repentaglio vite innocenti?

La tragedia di Gabriele Sandri non è solo una drammatica pagina di cronaca, ma un monito su quanto sia labile il confine tra la sicurezza e il pericolo, tra la difesa dell’ordine e la responsabilità personale, tra giustizia legale e coscienza morale. Una storia che ancora oggi “brucia”, lasciando irrisolte molte domande su errori, procedure e, soprattutto, sulle fragilità umane dietro una divisa.

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