Nell’estate 2025, il confine tra Thailandia e Cambogia si è trasformato nel teatro di uno dei più gravi conflitti armati del Sud-est asiatico degli ultimi decenni.
Migliaia di civili hanno abbandonato le loro case, decine di persone sono state uccise e la comunità internazionale teme una vera e propria guerra aperta tra i due Paesi.
Cerchiamo di capire le cause di questo scontro, cosa sta succedendo e quali sono gli scenari futuri.
Il cuore della crisi attuale si trova lungo una linea di confine lunga oltre 800km, tracciata agli inizi del Novecento quando la Cambogia era un protettorato francese.
Alcune aree di questa frontiera, in particolare quelle nei pressi di antichi templi khmer come il Ta Moan Thom e il Preah Vihear, sono rimaste da sempre oggetto di dispute, sebbene una sentenza della Corte Internazionale di Giustizia del 1962 avesse già stabilito la sovranità cambogiana su alcuni siti.
La rivalità si è accentuata nuovamente negli ultimi quindici anni. Dal 2008 infatti, quando la Cambogia cercò di ottenere il riconoscimento dell’UNESCO per il tempio di Preah Vihear, si sono verificati ripetuti scontri di confine. La situazione però è degenerata nel 2025.
Il punto di rottura si è verificato a maggio, quando un soldato cambogiano è stato ucciso durante un alterco a fuoco nei pressi della cosiddetta “Triangolo di Smeraldo”, dove si incontrano le frontiere di Thailandia, Cambogia e Laos.
Da quel momento si sono susseguite rappresaglie, chiusure di valichi, sanzioni economiche e accuse reciproche di sconfinamento.
La crisi si è aggravata il 24 luglio 2025, poco dopo un’esplosione di mine che aveva ferito cinque soldati thailandesi e provocato il ritiro degli ambasciatori da entrambe le capitali.
Quella mattina si sono registrati pesanti scambi di fuoco d’artiglieria e razzi, accanto all’impiego di caccia F-16 dell’aviazione thailandese contro obiettivi militari cambogiani. L’offensiva ha colpito anche zone civili: il bilancio, nelle prime 48 ore, è stato di oltre 30 morti (tra cui molti civili tailandesi) e più di 100,000 evacuati.
Le responsabilità restano contestate: Bangkok denuncia attacchi a ospedali e villaggi, Phnom Penh parla invece di «invasione premeditata» e di «aggressione armata» thailandese contro la propria sovranità.
La lotta si svolge su almeno sei fronti diversi lungo una regione accidentata e ricca di simboli nazionalisti.
Il confronto attuale mette in luce una fortissima asimmetria militare. La Thailandia schiera una forza armata di oltre 360,000 effettivi, con mezzi e tecnologie notevolmente superiori rispetto a quelli cambogiani, e gode di uno storico allineamento con gli Stati Uniti.
La Cambogia, invece, dispone di un esercito numericamente più piccolo, ma negli ultimi anni ha rafforzato i legami militari con la Cina.
L’esplosione delle ostilità ha provocato la reazione di numerosi attori regionali e globali. L’ASEAN, l’ONU e diversi governi hanno chiesto un immediato cessate il fuoco e l’avvio di negoziati di pace, mentre si teme una “spirale” che possa coinvolgere altri Paesi.
Le diplomazie sono al lavoro per il ritorno al tavolo dei colloqui, ma la situazione resta incandescente.