Il brutale omicidio avvenuto a Gemona del Friuli, in provincia di Udine, ha sconvolto l’opinione pubblica per la sua efferatezza e le sue inquietanti motivazioni. Alessandro Venier, 35 anni, è stato ritrovato senza vita, il corpo sezionato e abbandonato in un bidone nella rimessa di casa. L’indagine ha portato subito alla confessione della madre, Lorena Venier, e della convivente del giovane, Mailyn Castro Monsalvo, 30 anni, cittadina colombiana. Ma cosa ha spinto madre e compagna a macchiarsi di un simile delitto?
La ricostruzione preliminare degli inquirenti restituisce un quadro di profonda tensione all’interno delle mura domestiche. Alessandro Venier, disoccupato e con alle spalle solo lavori saltuari, viveva nella villetta di famiglia con la madre – infermiera caposala e unico stipendio stabile – e la compagna, attualmente senza lavoro. Dalla loro unione era nata da pochi mesi una bambina, poi affidata ai servizi sociali dopo la scoperta dell’omicidio.
Nel tempo, le difficoltà economiche avevano esasperato i rapporti, aggravati dalla percezione di un carico gestionale e domestico squilibrato. Nel piccolo nucleo familiare, la presenza di sole donne a sostenere la casa – sia dal punto di vista finanziario che organizzativo – sembra aver alimentato litigi continui e un clima di esasperazione reciproca.
Secondo quanto emerso, la notte fatale è stata preceduta dall’ennesima violenta discussione. Liti per motivi apparentemente banali si erano ormai fatte ricorrenti. In particolare, la sera dell’omicidio, Alessandro sarebbe stato rimproverato perché non aveva preparato la cena, fatto che avrebbe scatenato la lite culminata nella tragedia.
Le due donne hanno raccontato agli inquirenti di aver agito in risposta a una situazione divenuta, ai loro occhi, insostenibile, parlando apertamente di maltrattamenti e vessazioni subite. Nonostante ciò, sia i magistrati sia la stessa Procura hanno invitato alla massima cautela, sottolineando che le dichiarazioni rese dovranno essere suffragate dagli accertamenti tecnici tuttora in corso.
Una delle ricostruzioni più plausibili suggerisce che, dopo essere state aggredite da Alessandro, madre e compagna abbiano deciso di neutralizzarlo. Non è escluso che gli abbiano somministrato dei farmaci in una dose tale da risultare letale, anche se le analisi tossicologiche e l’autopsia dovranno stabilire l’esatta dinamica e le cause della morte.
Gli investigatori sottolineano come dalle prime dichiarazioni non emergano elementi di premeditazione: il gesto sarebbe maturato per futili motivi, al culmine di una situazione familiare esasperata, fatta di continui attriti su questioni economiche, organizzative e di convivenza difficoltosa.
La madre, durante l’interrogatorio con il sostituto procuratore, avrebbe dichiarato di essere consapevole della portata mostruosa del suo gesto, esprimendo rimorso e disperazione. Più che un atto pianificato, dunque, si tratterebbe di una reazione estrema e disperata a un clima domestico ormai ingestibile.