La tensione politica e militare in Israele raggiunge un nuovo picco. Il primo ministro, Benjamin Netanyahu, ha deciso di procedere con l’occupazione totale della Striscia di Gaza, secondo quanto riportato dai media israeliani. Una mossa drastica, annunciata in un momento in cui il paese è profondamente diviso, sia politicamente che militarmente. Le famiglie degli ostaggi temono per la sorte dei propri cari, mentre l'esercito israeliano esprime dubbi strategici su un'invasione che potrebbe avere conseguenze drammatiche. Intanto, la comunità internazionale osserva in silenzio, mentre a Gaza si aggrava la crisi umanitaria. Un rinvio nella riunione del gabinetto di sicurezza rivela le profonde spaccature interne al governo israeliano.
Il 4 agosto, i media israeliani hanno riportato, con riferimento a una fonte dell’ufficio del primo ministro, che Netanyahu ha deciso per l’occupazione totale della Striscia di Gaza. Secondo quanto riferito, le operazioni interesseranno anche le aree in cui si trovano gli ostaggi.
Era prevista, per il 5 agosto, una riunione del gabinetto di sicurezza per discutere i prossimi passi relativi a un eventuale intervento militare esteso dell’esercito israeliano a Gaza. Tuttavia, secondo quanto ha riportato The Guardian, la riunione è stata rinviata a causa delle crescenti tensioni sul piano presentato da Netanyahu.
La guerra tra Israele e Hamas prosegue da 21 mesi ed ora Tel Aviv è sottoposta a crescenti pressioni internazionali per aumentare il flusso di aiuti umanitari verso Gaza e porre fine al conflitto. Le parti non riescono a trovare un’intesa per un cessate il fuoco e per il rilascio degli ostaggi, dopo la rottura della tregua entrata in vigore nel mese di gennaio.
Intanto, aumenta l’emergenza umanitaria a Gaza, con un numero crescente di vittime, anche per fame, oltre che a causa degli attacchi militari.
Dall’inizio della guerra, Netanyahu ha più volte invocato l’obiettivo di una “vittoria totale” che preveda il disarmo e lo smantellamento di Hamas. Tale retorica ha però suscitato numerose critiche, dal momento che non ha indicato chiaramente il ritorno degli ostaggi come priorità. Solo all’inizio di luglio ha respinto le accuse, affermando che i due obiettivi, sconfiggere Hamas e liberare gli ostaggi, procedono di pari passo.
Attualmente, 50 ostaggi si trovano ancora nelle mani di Hamas e si ritiene che 20 di loro siano ancora vivi. Le famiglie dei prigionieri temono che i piani per una piena occupazione possano mettere in pericolo i propri cari. A questa voce si aggiunge l’allarme lanciato da alti ufficiali dell’esercito israeliano ed ex comandanti di alto rango, che avvertono del rischio di perdere totalmente gli ostaggi, vivi o deceduti che siano.
Secondo quanto riportano i media israeliani, sono già emersi disaccordi tra Netanyahu e il capo di stato maggiore dell’IDF, Eyal Zamir. La preoccupazione di Zamir è che tale iniziativa possa effettivamente compromettere la vita degli ostaggi.
Non sono stati divulgati i dettagli del piano. Rimane dunque l’ambiguità su cosa intenda esattamente Netanyahu con “occupazione totale”: se si tratti di un’operazione militare rapida e su larga scala oppure se sia prevista un’operazione prolungata, che includerebbe il trasferimento graduale del controllo della Striscia di Gaza a Israele.
Oltre alla questione militare e strategica, resta anche un nodo politico fondamentale: come potrà Netanyahu giustificare questa decisione davanti alle crescenti critiche della comunità internazionale?
Il rinvio della riunione del gabinetto di sicurezza indica che, internamente, Israele è tutt’altro che unita sulla linea da seguire. E mentre cresce il rischio per la popolazione civile e per gli ostaggi, la comunità internazionale osserva ma, almeno per ora, senza intervenire con decisione.
A quasi due anni dall’inizio della guerra tra Israele e Hamas, la situazione resta bloccata in una spirale di violenza e decisioni estreme. La proposta di Netanyahu di occupare interamente Gaza segna una nuova fase, potenzialmente devastante, del conflitto. Ma a differenza delle guerre del passato, oggi ogni mossa è osservata in tempo reale, ogni scelta ha un’eco immediata nell’opinione pubblica globale. Se davvero si procederà con l’occupazione, non potrà esserci alcun alibi politico per chi resterà a guardare in silenzio.