Il caso del delitto di Garlasco continua a suscitare forti dibattiti pubblici e mediatici, anche molti anni dopo l’omicidio di Chiara Poggi, avvenuto nella villetta di via Pascoli nel 2007. Recentemente, la trasmissione televisiva “Zona Bianca” ha riportato sotto i riflettori il giallo, facendo emergere nuovi dubbi e interrogativi sui metodi investigativi e sulle prove raccolte nel corso delle indagini.
Durante l’ultima puntata, trasmessa mercoledì 6 agosto 2025 e condotta da Giuseppe Brindisi, sono intervenuti i legali delle principali persone coinvolte: Massimo Lovati, avvocato di Andrea Sempio, e Antonio De Rensis, difensore di Alberto Stasi. Tuttavia, il punto cruciale della serata è stato sollevato dalla giornalista Rita Cavallaro, decisa a mettere in luce le falle nei verbali delle indagini. Secondo Cavallaro, “la storia che ci è stata raccontata in un determinato modo oggi noi scopriamo essere tutt’altra”, insistendo sulla presenza di un vero e proprio “vuoto investigativo”.
La giornalista ha rilevato come manchi un verbale che attesti, tra le altre cose, la condizione della garza trattata dal genetista Marzio Capra, secondo il quale questa sarebbe stata “ammuffita già nel 2007”. L’assenza di documentazione, a detta di Cavallaro, lascia aperta la porta a dubbi profondi sulla fondatezza della sentenza di condanna nei confronti di Stasi. Non solo: ci sarebbero ulteriori elementi e dettagli non verbalizzati, oggi fonte di controversia e terreno fertile per teorie alternative sull’accaduto.
Accanto alle contestazioni sui verbali, un elemento particolarmente discusso rimane la cosiddetta “impronta 33”, attribuita a un individuo identificato come “Ignoto 3”, per alcuni riconducibile ad Andrea Sempio. Luciano Garofano, ex comandante del RIS di Parma ora consulente di Sempio, è intervenuto con una lunga analisi per chiarire il quadro delle impronte e delle tracce trovate sulla scena.
Garofano ha sottolineato il rigore e la minuziosità del lavoro condotto nel 2007 dal suo team, spiegando che sulla parete dove fu individuata la “traccia poi diventata impronta 33”, furono rilevate “numerosissime macchie di sangue anche delle dimensioni di pochi millimetri”. Tali tracce furono scoperte grazie a una doppia metodologia: prima un’osservazione preliminare a luce bianca, seguita da un’ispezione approfondita con luci forensi — tecnica che porta alla luce persino residui invisibili a occhio nudo.
Il generale Garofano ha difeso l’operato dei RIS, chiarendo che “se ci fosse stato il minimo sospetto che quell’alone più scuro”, cioè l’ombreggiatura indicata dalla difesa di Stasi e poi trasformata in impronta grazie al trattamento con la ninidrina, “corrispondesse a una traccia di sangue, essa sarebbe stata immediatamente numerata e prelevata”. L’ex comandante ha così respinto le accuse di superficialità oppure di omissioni intenzionali nei rilievi iniziali della scena del delitto.
Il dibattito resta animato anche su possibili sparizioni di impronte e sulla presunta esistenza di una doppia arma del delitto. La tensione tra le parti è alimentata sia da scontri televisivi — come quelli tra i legali e i consulenti scientifici — sia da dichiarazioni di figure pubbliche come Selvaggia Lucarelli, che ha messo in discussione la pista dell’impronta 33 tramite i suoi canali social.
Un altro tema ricorrente riguarda i tempi e le modalità con cui fu comunicata la morte di Chiara Poggi, insieme ai dubbi sollevati da ex investigatori e carabinieri sulla catena di custodia delle prove e sulla gestione complessiva dell’inchiesta.
A oltre diciotto anni dai fatti, il delitto di Garlasco rimane all’attenzione del pubblico e degli addetti ai lavori per la sua complessità e per i tanti interrogativi irrisolti. Le vicende relative a verbali mancanti, possibili errori e impronte misteriose continuano ad alimentare perplessità e discussioni non solo nei tribunali, ma anche negli studi televisivi e sulla stampa.
L’impressione generale, anche secondo analisti e osservatori, è che il caso resti segnato da un clima di incertezza: la fiducia nella ricostruzione ufficiale vacilla di fronte a ogni nuova polemica, rilanciando la necessità di una riflessione più ampia sulla qualità e sulla trasparenza delle indagini nei grandi casi di cronaca nera italiana.