L’estensione dell’articolo 5 Nato come garanzia di sicurezza per Kiev e il riconoscimento dei territori contesi come condizione per la pace: questi sono i due dossier centrali che verranno discussi oggi alla Casa Bianca nell’attesissimo summit tra Donald Trump e Volodymyr Zelensky.
Al tavolo anche l’Europa, rappresentata dalla presidente della Commissione Ursula von der Leyen e dai leader di Francia, Gran Bretagna, Germania, Italia e Finlandia. Presente anche il segretario generale della Nato Mark Rutte. Un fronte compatto, definito da molti uno “scudo politico”, volto a tutelare gli interessi ucraini ed europei.
Le discussioni partiranno da un’indubbia svolta: in un’intervista di ieri alla CNN l’inviato speciale di Trump, Steve Witkoff, ha rivelato l’apertura di Vladimir Putin all’ipotesi che le potenze occidentali garantiscano la sicurezza dell’Ucraina con una clausola ispirata all’articolo 5 della Nato.
L’articolo 5 del Patto atlantico è il pilastro su cui si fonda la Nato. La clausola stabilisce che un attacco armato contro uno degli Stati membri debba essere considerato come un’aggressione contro tutti, obbligando così l’Alleanza a intervenire. In pratica, i Paesi alleati si impegnano a sostenere la nazione colpita, adottando tutte le misure necessarie - compreso l’uso della forza militare - per ristabilire e garantire la sicurezza collettiva.
Questo principio, che costituisce il cuore stesso dell’Alleanza, affonda le sue radici negli anni della Guerra fredda, quando le potenze occidentali temevano un’offensiva dell’Unione Sovietica contro l’Europa. Dalla nascita della Nato nel 1949, l’articolo 5 è stato invocato una sola volta, dopo gli attentati dell’11 settembre 2001 negli Stati Uniti, quando l’organizzazione decise l’invio di truppe in Afghanistan per rispondere alla minaccia terroristica di Al-Qaeda.
L’apertura di Vladimir Putin a una clausola di garanzia per l’Ucraina, condivisa con le potenze occidentali, ha colto di sorpresa molti osservatori internazionali. Fin dall’inizio delle trattative con Washington, la diplomazia russa aveva infatti subordinato la fine delle ostilità alla risoluzione delle cosiddette “cause profonde” del conflitto, tra cui la volontà di Kiev di aderire alla Nato. Se questa prospettiva appare ormai definitivamente esclusa, resta da capire in che modo gli alleati occidentali possano rendere operativa una clausola che costituirebbe un precedente assoluto nei rapporti tra Alleanza e Paesi non Nato, da definire per la prima volta nei dettagli.
La questione, peraltro, è strettamente legata alle trattative territoriali: senza una chiara delimitazione dei confini tra Ucraina e Russia, non è possibile stabilire su quali aree la clausola potrebbe attivarsi in caso di attacco. Non a caso, proprio i territori contesi saranno oggi al centro della trattativa diplomatica di Zelensky, sostenuto dalla delegazione europea, contro le richieste di Putin che, nel vertice di Anchorage con Trump, ha chiesto tra le altre cose il ritiro completo dell’Ucraina dal Donbass, comprendendo non solo le zone già occupate militarmente, ma anche quelle ancora sotto il controllo del governo di Kiev.
La trattativa attorno a una possibile estensione delle garanzie di sicurezza previste dall’articolo 5 della Nato all’Ucraina è stata immediatamente rivendicata dalla presidente del Consiglio, Giorgia Meloni.
La premier italiana, già dallo scorso marzo, aveva proposto agli alleati europei una soluzione in questo senso, scontrandosi con il gruppo dei 'volenterosi’, guidato da Francia e Gran Bretagna, favorevoli alla costituzione di un contingente europeo da porre, al termine del conflitto, a difesa dei confini ucraini.
Un’ipotesi, quest’ultima, su cui i lavori diplomatici non si sono mai interrotti e che, ancora oggi, è strenuamente difesa dal presidente francese Macron, convinto che la concessione di una garanzia teorica - quale quella dell’articolo 5 - non possa, da sola, garantire la sicurezza dell’Ucraina e dell’Europa e costituire da deterrente contro eventuali invasioni russe.
Nonostante l’unità formale, la posizione dei ‘volenterosi’ Macron e Starmer continua a divergere da quella auspicata dalla premier Giorgia Meloni.
Nelle recenti consultazioni tra i leader europei in vista del summit di oggi alla Casa Bianca, la premier ha infatti ribadito la necessità di tutelare la sovranità e la sicurezza dell’Ucraina, rilanciando il piano sull’estensione dell’articolo 5 Nato da lei avanzato già mesi fa.
“Il presidente Trump ha oggi ripreso l’idea italiana di garanzie di sicurezza ispirate all’articolo 5 della Nato”, ha scritto Meloni due giorni fa. Più prudente la posizione di ieri, dove Palazzo Chigi si è limitato a ribadire la necessità di mantenere “la pressione collettiva sulla Russia e di solide e credibili garanzie di sicurezza”, senza alcuna menzione diretta all’articolo 5.
Che il Governo sostenga e rivendichi questa ipotesi, tuttavia, è evidente. A sottolinearlo il ministro per gli Affari europei, Tommaso Foti, che ha colto l’occasione per ricordare come la sinistra avesse inizialmente osteggiato la proposta della premier e come continui a criticarla ancora oggi, nonostante la sua posizione “trovi ampio seguito a livello internazionale. Proprio non riescono a giocare con la maglia dell’Italia”.
Dal fronte opposto, il presidente del Copasir Lorenzo Guerini (Pd) ha parlato invece di “crollo della suggestione del ruolo di Meloni da pontiera”, pur accogliendo con favore l’avvicinamento “costretto” della premier al gruppo dei volenterosi.