29 Aug, 2025 - 14:59

Torture e sequestri di persona, a Roma la nuova guerra dei narcos

Torture e sequestri di persona, a Roma la nuova guerra dei narcos

Roma viene descritta come una città sempre meno sicura, attraversata da dinamiche criminali che ricordano scenari da serie televisiva, ma che purtroppo appartengono alla realtà quotidiana. Questo il tema affrontato nella trasmissione “Psiche Criminale”, condotta da Fiammetta Fiorito e Francesco Acchiardi sul canale 122, che ha visto la partecipazione della psicologa Barbara Fabroni e dell’avvocato Maurizio Capozzo, segretario della Camera Penale di Napoli. La puntata ha preso spunto da recenti inchieste che mettono in luce l’escalation di violenza legata al narcotraffico e alla presenza sempre più radicata di organizzazioni criminali nella capitale e nel Lazio.

Il quadro delineato è quello di una città in cui i sequestri di persona, le torture e le minacce non sono episodi isolati, ma segnali di una guerra per il controllo delle piazze di spaccio. I servizi trasmessi hanno mostrato immagini crude, intercettazioni di minacce e blitz delle forze dell’ordine che hanno smantellato cellule criminali in diverse zone del Lazio. Gli esempi concreti parlano di giovani sequestrati e torturati per debiti di droga, di organizzazioni che si muovono con modalità simili ai cartelli sudamericani, di estorsioni e violenze documentate dagli investigatori.

Secondo Capozzo, la situazione di Roma è diversa rispetto a città come Napoli o Palermo, dove la geografia criminale è nota e consolidata da decenni, permettendo alle forze dell’ordine di avere chiari riferimenti sui gruppi operanti. Nella capitale, invece, le organizzazioni non hanno una struttura unitaria e stabile, ma sono frammentate e spesso composte da soggetti stranieri che operano in maniera fluida e meno riconoscibile. Questo rende le indagini più complesse, perché manca una mappa criminale definita. A suo avviso, l’aspetto più preoccupante è proprio questa capacità di rimanere invisibili e di importare modalità violente mutuate da altre realtà, complicando l’attività investigativa.

La psicologa Fabroni ha sottolineato come il fenomeno non sia solo criminale, ma anche culturale e sociale. A suo parere, Roma e altre città italiane si trovano a fronteggiare una sorta di “colonizzazione” criminale proveniente da diversi contesti internazionali: Sud America, Balcani, Oriente. Queste realtà si integrano con le dinamiche già presenti, creando un sottobosco sempre più articolato e pericoloso. L’influenza esterna introduce nuove forme di brutalità, che aumentano la percezione di insicurezza dei cittadini e li spingono a chiudersi in spazi sempre più limitati della propria quotidianità, temendo l’imprevisto incontro con figure legate al crimine.

Alla domanda se il rischio sia quello di uno scontro tra bande straniere e italiane o piuttosto di una fusione tra i gruppi, la Fabroni ha risposto che in parte l’unione è già avvenuta. Esiste infatti una doppia struttura: da un lato la manovalanza, composta da chi si muove sul piano operativo e violento, dall’altro figure più raffinate, che grazie a competenze e tecnologie riescono a infiltrarsi in settori strategici e a manovrare le attività criminali a livelli superiori. L’integrazione, quindi, non avviene solo per necessità, ma come scelta di convenienza per rafforzare il controllo del territorio.

Capozzo ha poi richiamato l’attenzione su un dato statistico significativo: nelle carceri italiane, circa un terzo della popolazione detenuta è composta da stranieri. Un dato che, pur non volendo generalizzare, rappresenta un indicatore con cui bisogna confrontarsi. Ciò che emerge, ha sottolineato, è la difficoltà di integrazione di molti soggetti stranieri, che raramente accedono alle misure alternative previste dal sistema penitenziario. Questo porta a un circolo vizioso in cui, una volta entrati nel circuito criminale e carcerario, diventano recidivi, con scarso accesso a percorsi di reinserimento sociale.

Il fenomeno ha conseguenze dirette anche sul tessuto urbano: i quartieri periferici diventano aree di concentrazione di marginalità e criminalità, con un controllo ridotto da parte delle istituzioni. Da qui nasce quella sensazione diffusa di vivere in una città sempre più pericolosa, dove i cittadini avvertono una minaccia costante, non solo per la presenza di reati predatori come furti e rapine, ma soprattutto per l’intreccio con il mondo degli stupefacenti.

La psicologa Fabroni ha insistito sul fatto che la brutalità crescente destabilizza la vita quotidiana delle persone, generando paura e insicurezza. Ha parlato di un parallelismo con città sudamericane, come Bogotá, dove il radicamento della criminalità ha cambiato in profondità la percezione della convivenza civile. Allo stesso tempo, ha evidenziato come la globalizzazione del crimine abbia introdotto modelli delinquenziali nuovi, che mutano continuamente e richiedono strumenti di contrasto più complessi.

Il tema dell’integrazione resta centrale, se da una parte la mancanza di percorsi sociali e culturali alimenta il reclutamento da parte delle bande, dall’altra la fusione tra organizzazioni locali e straniere rafforza il potere dei gruppi criminali. Capozzo ha messo in evidenza come, senza voler entrare in discorsi politici, i flussi migratori abbiano avuto un impatto anche sul sistema giudiziario e penitenziario, con conseguenze dirette sul controllo sociale.

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