Il presidente della Repubblica ha firmato ieri, con il parere favorevole del ministro della Giustizia, quattro decreti di grazia riguardanti Gabriele Finotello, Massimo Zen, Patrizia Attinà e Ancuta Strimbu.
Quattro provvedimenti di clemenza, quattro storie diverse: da quella di Gabriele Finotello, condannato per l’omicidio volontario del padre violento e alcolizzato, a quella di Massimo Zen, la guardia giurata che uccise con un colpo di pistola un ladro in fuga dopo una rapina a un bancomat, condannato per omicidio volontario e cognizione illecita di comunicazioni.
Il potere di grazia del presidente della Repubblica è previsto dall’articolo 87 della Costituzione; l’istituto ha origini antichissime e, nel nostro ordinamento, è disciplinato dall’art. 681 del codice di procedura penale. La concessione della grazia avviene al termine di un processo istruttorio del ministero della Giustizia.
Nel corso del primo settennato di presidenza, Sergio Mattarella ha concesso 35 provvedimenti di clemenza, tutti per reati comuni. Considerando quelli firmati ieri, dalla sua rielezione per un secondo mandato ne ha invece concessi 30, di cui uno relativo a reato militare.
Nella storia della Repubblica, il Capo dello Stato che ha esercitato meno il potere di grazia è stato Giorgio Napolitano, con soli 23 atti di clemenza. I numeri dei due ultimi Presidenti risultano piuttosto contenuti se confrontati con quelli dei primi Capo di Stato: Luigi Einaudi ne promulgò 15.578, Giovanni Gronchi 7.423.
Nei primi anni della Repubblica, i provvedimenti di grazia erano infatti molto più frequenti, spesso utilizzati come strumento di riconciliazione nazionale dopo gli anni del fascismo.
Ma quali sono le storie dei quattro beneficiari della clemenza e per quali reati erano stati condannati?
La storia di Gabriele Finotello, è forse una di quelle che da subito ha più colpito l’opinione pubblica italiana.
Finotello, operatore socio-sanitario, nel 2021 - all’epoca trentenne - ha ucciso il padre Giovanni, con cui viveva da solo, dopo una lunga storia di violenze e vessazioni familiari, tali da far abbandonare la casa alla madre e al fratello minore.
I gravi problemi di alcolismo del padre avevano trasformato la vita della famiglia in un inferno, tra botte, minacce e paura. Gabriele aveva scelto di restare in casa per aiutare il padre, disoccupato in quel periodo, a disintossicarsi. Dopo l’ennesimo tentativo di spronarlo, era scoppiata una collutazione tra i due, culminata nel delitto.
Chiamati i soccorsi, Gabriele aveva subito la madre e i carabinieri, confessando immediatamente l’accaduto e collaborando con tutte le indagini successive.
Condannato in primo grado a 14 anni, con riconoscimento di semi-infermità mentale al momento del fatto, Finotello aveva poi beneficiato di un ulteriore sconto di pena in appello.
Il presidente della Repubblica gli ha concesso la grazia totale, estinguendo interamente la pena inflitta.
Nella decisione, il Capo dello Stato ha tenuto conto dei pareri favorevoli del procuratore generale e del magistrato di sorveglianza, delle condizioni di salute di Finotello e, soprattutto, del contesto in cui è maturato il delitto, «caratterizzato da ripetuti atti di violenza e minaccia da parte della vittima nei confronti dei propri familiari».
Tra le storie dei beneficiari della grazia del Presidente della Repubblica, ce n’è un’altra già nota all’opinione pubblica, soprattutto per l’uso politico che se ne era fatto: è quella di Massimo Zen, la guardia giurata di 54 anni condannata per aver ucciso nel 2017, con un colpo di pistola, Manuele Major, ladro in fuga in auto assieme ai suoi complici, dopo una rapina a un bancomat di Barcon di Vedelago.
Dalla sua parte, all’epoca dei fatti, si era subito schierato il leader della Lega, Matteo Salvini, che aveva reso Zen e la sua storia i migliori testimonial della battaglia per l'approvazione di una legge per la legittima difesa. Non a caso, proprio la Lega aveva chiesto al Quirinale di graziare l’uomo, raccogliendo firme a supporto, trovando però il muro del ministro della Giustizia, che aveva rigettato la richiesta solo l’anno scorso.
I successivi sviluppi — il risarcimento di Zen alla famiglia della vittima, gli appelli della società civile e le mutate condizioni di salute del condannato — hanno però cambiato il corso della vicenda: tenuto conto di questi fattori, il Capo dello Stato ha concesso la grazia parziale a Zen, estinguendo tre anni e tre mesi della pena detentiva da espiare.
Grazie al provvedimento, il detenuto potrà ora essere affidato ai servizi sociali, dato che il residuo da scontare è inferiore ai quattro anni.
Nelle scorse settimane, per Zen si era mossa con decisione anche l’Associazione Nazionale Guardie Giurate (ANGDG), sottolineando come l’uomo avesse urgente bisogno di cure odontoiatriche.
Sui social, il presidente del Veneto Luca Zaia ha gioito per la notizia, ribadendo l’idea che non vada considerato criminale «chi agisce per difesa contro una delinquenza sempre più aggressiva e poco contrastabile».
Si conoscono meno dettagli sui casi di Patrizia Attinà e Ancuta Strimbu.
Patrizia Attinà, classe 1972, è stata condannata a una pena complessiva di due anni, otto mesi e venti giorni di reclusione per i reati di furto ed estorsione, commessi tra il 2012 e il 2016. Il Capo dello Stato le ha concesso la grazia per l’intera pena residua da espiare, tenuto conto del parere favorevole espresso dal magistrato di sorveglianza. del tempo trascorso dai fatti, del perdono concesso dalla persona offesa e delle attuali condizioni di salute della condannata.
Ancuta Strimbu, nata nel 1986, ha invece ottenuto la grazia parziale, che ha estinto tre anni e tre mesi della pena detentiva ancora da espiare. La condanna complessiva era di nove anni e sei mesi. Per Strimbu, il Capo dello Stato ha tenuto conto del parere favorevole espresso dal magistrato di sorveglianza, del contesto in cui sono maturati i reati e delle condizioni familiari della condannata, nonché del fatto che già stava eseguendo la pena detentiva in affidamento in prova al servizio sociale.