La puntata di “Psiche criminale”, in onda sul canale 122, apre oggi le porte dello Studio 1 di Roma per affrontare un tema che, pur essendo antico e conosciuto, non smette di sollevare interrogativi e riflessioni: il contrabbando. Si tratta di un fenomeno che da secoli accompagna le dinamiche sociali ed economiche, spesso oscillando tra necessità, convenienza e illegalità, e che tuttora merita di essere analizzato con profondità. In questa occasione ne discutono due ospiti di rilievo: il professor Carlo Taormina, ordinario di procedura penale all’Università di Tor Vergata, e l’avvocato Riccardo Brigazzi. L’obiettivo della conversazione è comprendere se il contrabbando sia ancora una realtà viva e pericolosa o se, come molti ritengono, sia ormai un fenomeno ridimensionato.
Riccardo Brigazzi sceglie di aprire il dibattito con una domanda provocatoria, ma allo stesso tempo concreta: il cittadino comune desidera davvero combattere il contrabbando? La sua riflessione parte da una considerazione semplice ma incisiva: quando ci si trova di fronte a un prodotto di lusso, a un pacchetto di sigarette o a una bottiglia di alcolici a un prezzo notevolmente inferiore rispetto a quello ufficiale, la tentazione di rivolgersi al mercato parallelo è forte.
Per chi acquista, il vantaggio economico prevale spesso sulla consapevolezza della legalità. In altre parole, il cittadino, pur sapendo di muoversi in un circuito illecito, si percepisce più come utente di un mercato che risponde alle proprie esigenze piuttosto che come complice di un reato. Da qui l’interrogativo più ampio: come si può combattere realmente questo fenomeno se la leva del prezzo continua a giocare a favore dei contrabbandieri? Secondo Brigazzi, una possibile via consiste nell’agire sulla struttura dei costi, cercando di ridurre i margini di guadagno eccessivi che alimentano l’attrattiva dell’illegale. È un discorso che vale soprattutto per i beni di consumo più diffusi, mentre nel campo del vestiario e dei prodotti di lusso il discorso diventa più complesso, perché entrano in gioco dinamiche di mercato e di immagine che non possono essere ignorate.
Il professor Carlo Taormina raccoglie questo spunto e lo riporta sul terreno del contrabbando storico per eccellenza: quello delle sigarette. Ricorda come, soprattutto nei decenni passati, il fenomeno fosse tollerato o addirittura ignorato, perché forniva una sorta di valvola di sfogo a fasce di popolazione più povera, consentendo loro di soddisfare bisogni di consumo senza mettere a rischio la serenità sociale. In quegli anni il contrabbando non veniva percepito come un vero pericolo per la collettività, ma come un compromesso tacito che permetteva di mantenere un equilibrio. È in questo senso che Taormina invita a riflettere anche sull’attuale narrazione: non è corretto, secondo lui, immaginare che lo Stato combatta quotidianamente con successo le associazioni criminali che gestiscono il contrabbando, perché si tratta di un fenomeno che non può essere descritto solo nei termini del conflitto frontale.
Brigazzi approfondisce il discorso sottolineando la particolare posizione che le sigarette occupano nell’immaginario e nelle politiche pubbliche. Per molto tempo il tabacco è stato un prodotto di largo consumo, socialmente accettato e persino legittimato dalla cultura di massa. Solo negli ultimi decenni, grazie alle ricerche scientifiche e alle campagne di sensibilizzazione, si è trasformato in un vizio stigmatizzato, con un consumo progressivamente ridotto. Porta ad esempio il caso degli Stati Uniti, dove si è assistito a una vera e propria crociata contro il fumo: i marchi storici sono stati limitati nella pubblicità, le scene di film con personaggi che fumano sono diventate sempre più rare e l’opinione pubblica si è allineata a un’idea di salute incompatibile con la sigaretta. In Italia la situazione è particolare perché lo Stato stesso è monopolista del tabacco, con il compito di regolare, distribuire e al contempo garantire la tutela della salute. È dunque lecito chiedersi: come si colloca il monopolista statale rispetto ai contrabbandieri? È un concorrente o piuttosto un soggetto che deve assumersi responsabilità superiori, conciliando interessi economici e doveri costituzionali?
Taormina prosegue sottolineando un paradosso: mentre la coltivazione del tabacco continua a essere incentivata e sostenuta economicamente, la domanda rimane comunque stabile. È la stessa logica che governa altri mercati illeciti, come quello degli stupefacenti: di fronte a un bisogno reale, la risposta del mercato, legale o illegale, tende sempre a essere positiva. Non si può negare l’esistenza di un consumo diffuso, né si può ignorare che anche figure sociali di alto livello siano coinvolte in tali dinamiche. In questo senso, la realtà va guardata in faccia: la cocaina, ad esempio, è ormai entrata a far parte dei consumi di fasce trasversali della società, un dato di fatto che, seppur gravissimo, conferma come la logica della domanda e dell’offerta non risparmi nessun settore.
Il professor Taormina invita quindi a ridimensionare l’idea di un contrabbando onnipresente e fuori controllo. Le statistiche parlano chiaro: rispetto al passato, il fenomeno si è ridotto, pur continuando a rappresentare un problema. È necessario riconoscere questa evoluzione e affrontare il tema senza facili allarmismi, ma con strumenti di analisi che tengano conto dei cambiamenti sociali, economici e culturali.