A pochi giorni dall’annuncio del cessate il fuoco tra Israele e Hamas, il presidente statunitense Donald Trump ha intrapreso un viaggio in Medio Oriente per consolidare il successo del suo piano di pace. Tra il discorso celebrativo alla Knesset e il vertice internazionale a Sharm el-Sheikh, il leader americano si è presentato come l’artefice di una nuova fase di stabilità nella regione. Tuttavia, dietro l’ottimismo delle sue parole si celano ancora numerosi interrogativi: il futuro di Gaza e le reali garanzie per una pace duratura restano temi aperti e controversi.
Il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, il 13 ottobre 2025 ha avuto due appuntamenti cruciali.
Pochi giorni dopo l’annuncio dell’accordo di cessate il fuoco tra Israele e Hamas, il leader americano ha intrapreso un viaggio in Medio Oriente per consolidare il successo diplomatico ottenuto.
La prima tappa è stata al Parlamento israeliano, la Knesset, dove Trump ha tenuto un discorso incentrato principalmente sulla celebrazione del risultato raggiunto. Il presidente americano ha dichiarato che “sarà un’età dell’oro per il Medio Oriente” esprimendo ottimismo per il futuro della regione.
Nel suo intervento ha ringraziato uno per uno gli alti funzionari della sua amministrazione presenti in aula, tra cui il Segretario di Stato Marco Rubio e il Segretario alla Difesa Pete Hegseth. Ha inoltre elogiato l’inviato presidenziale Steve Witkoff e il suo genero Jared Kushner, sottolineando il contributo decisivo di ciascuno al processo di pace.
Trump ha rivolto parole di apprezzamento anche ai rappresentanti israeliani, congratulandosi con il primo ministro Benjamin Netanyahu, pur riservandogli una leggera critica, definendolo “non la persona più facile con cui trattare”. Tuttavia, ha poi invitato il presidente israeliano Isaac Herzog a concedere la grazia a Netanyahu per le accuse di corruzione ancora pendenti.
Successivamente, Trump si è recato a Sharm el-Sheikh, in Egitto, dove si sono riuniti numerosi leader mondiali per discutere le prospettive di stabilità nella regione dopo la tregua.
Tuttavia, dietro l’entusiasmo del momento restano molte domande ancora senza risposta. Il piano di pace elaborato dall’amministrazione Trump, articolato in 20 punti, è stato criticato da analisti e osservatori internazionali per la sua vaghezza e la mancanza di dettagli vincolanti.
La prima fase dell’accordo, entrata in vigore il 10 ottobre, ha previsto il cessate il fuoco immediato e il rilascio degli ostaggi israeliani in cambio della liberazione di prigionieri palestinesi. Contestualmente, le forze israeliane hanno iniziato un parziale ritiro da Gaza.
La seconda fase dell’intesa dovrebbe invece concentrarsi sul disarmo di Hamas, sulla creazione di un’amministrazione civile postbellica e sulla definizione delle modalità di ricostruzione della Striscia.
Trump ha descritto l’accordo come un “nuovo inizio per il Medio Oriente” ma ha anche ammesso che il percorso verso una pace stabile sarà “complesso e potenzialmente disordinato”. Lo stesso presidente ha riconosciuto che diverse fasi del piano “sono un po’ mescolate tra loro”.
Sebbene Trump abbia evocato la possibilità di una pace duratura, la mancanza di condizioni vincolanti e l’incertezza sulle garanzie di sicurezza rendono l’intesa ancora precaria.
Uno dei punti ancora non definiti riguarda il ruolo dell’Autorità Palestinese nel periodo successivo al conflitto. Inoltre, il costo della ricostruzione di Gaza rimane un’incognita. Le Nazioni Unite stimano che serviranno oltre 70 miliardi di dollari.
La pace tanto invocata da Trump appare, al momento, più come una speranza che una realtà consolidata.