La tregua a Gaza firmata da Donald Trump a Sharm el Sheik sembra un trionfo personale del presidente americano, ma dietro i sorrisi e le strette di mano si nascondono domande cruciali sul futuro della pace globale. Mentre Trump celebra la sua “ricetta magica” per evitare la terza guerra mondiale, il mondo osserva con diffidenza.
Il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, il 13 ottobre 2025, si è recato a Sharm el Sheik, in Egitto, per la firma dell’accordo di pace per Gaza. La giornata si è trasformata in un vero e proprio giro della vittoria per Trump, che si è presentato come l’artefice decisivo dietro la tregua in Medio Oriente.
Nel suo discorso, il leader americano non ha solo celebrato la fine della guerra ma ha anche offerto la sua formula “magica” per evitare la catastrofe più temuta: la terza guerra mondiale.
La firma del presidente americano a Sharm el Sheik suggella un tentativo di consolidare una tregua fragile ma carica di speranze e rappresenta una mossa decisiva nel disegno geopolitico che gli Stati Uniti vogliono imporre nel delicato scacchiere mediorientale.
Trump ha dichiarato che il Medio Oriente è una parte fondamentale del mondo e che per decenni molti hanno creduto che proprio lì potesse scoppiare la terza guerra mondiale, ma, secondo lui, “non accadrà”.
Nel suo intervento, Trump ha alternato toni da statista a battute pungenti ma il messaggio chiave è stato chiaro: la pace è possibile, ma solo se si agisce con “intelligenza” e “buon senso”.
Per evitare la terza guerra mondiale, ha affermato, i protagonisti devono essere “intelligenti”, altrimenti la catastrofe diventerà inevitabile. “Non avremo una terza guerra mondiale se saremo intelligenti”, ha ribadito con enfasi.
Il discorso di Trump a Sharm el Sheik si chiude con una sfida carica di speranza ma anche di inquietudine. Cosa significa essere “intelligenti” in un mondo diviso da interessi contrapposti, giochi di potere e conflitti irrisolti?
Il discorso di Sharm el Sheik ha un sapore unico: Trump vi propone la sua ricetta magica per evitare la catastrofe mondiale, mentre il mondo lo guarda con diffidenza. Secondo molti analisti, la minaccia non risiede più direttamente in Medio Oriente, ma altrove, dove nuove tensioni geopolitiche rischiano di accendersi.
Dopo aver proclamato la pace in Medio Oriente, il leader americano si è detto ottimista anche sulla possibilità di raggiungere la pace in Ucraina, seguendo l’esempio del successo diplomatico di Gaza.
L’amministrazione Trump si propone come principale mediatore tra Kiev e Mosca. Tuttavia, dopo mesi di impegni, la diplomazia non ha ancora dato frutti.
Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky mantiene una posizione ferma: per trascinare Vladimir Putin al tavolo dei negoziati, serve la pressione degli alleati. Da un lato, spinge gli europei ad attuare nuove sanzioni, dall’altro insiste per ottenere i missili a lungo raggio Tomahawk dagli Stati Uniti.
Sebbene Zelensky veda nei Tomahawk uno strumento per cambiare gli equilibri del conflitto, Mosca ha avvertito sulle conseguenze di un'eventuale via libera di Trump all’invio di tali missili.
Non si tratterebbe solo di un deterioramento delle relazioni appena ristabilite tra Russia e Stati Uniti, ma anche di una minaccia di escalation senza precedenti.
In effetti, Trump ha preso in considerazione la richiesta di Zelensky, ma ha già dimostrato di valutare la decisione con cautela.
L’amministrazione Trump, sebbene sostenga un ruolo di mediatore tra Kiev e Mosca, si muove con prudenza rispetto alla fornitura degli armamenti più avanzati, consapevole che una mossa sbagliata potrebbe scatenare un’escalation incontrollabile. La tensione rimane alta, e il conflitto ucraino si configura sempre più come l’“ombra minacciosa” pronta a incombere sulla pace globale.