L'Unione Europea ha svelato, il 16 ottobre 2025, la sua ambiziosa ma controversa strategia di difesa: la "Defence Readiness Roadmap 2030". Questa tabella di marcia segna una trasformazione significativa del vecchio continente verso una protagonista definita da una retorica di sicurezza. La militarizzazione dell’Ue nasconde però molte criticità.
L'integrazione militare all'interno del blocco europeo viene presentata come una risposta ai timori di un allargamento del conflitto tra Russia e Ucraina ma allo stesso tempo trasforma inevitabilmente l'immagine dell'Europa. Il vecchio continente non è più solo un attore diplomatico e pacificatore ma un ente che investe in capacità belliche e tecnologia militare avanzata.
La tabella di marcia fissa obiettivi chiari e scadenze per raggiungere, entro il 2030, una "difesa pronta", capace di affrontare eventuali crisi di alta intensità.
Inizialmente, il piano si concretizza in quattro programmi “bandiera”:
Dietro questa apparente modernizzazione del sistema difensivo europeo si cela un'amara verità: l'Europa rischia di tradire le promesse dei suoi fondatori di una pace duratura.
Bruxelles abbraccia la logica della deterrenza in un contesto geopolitico instabile. La retorica ufficiale esalta la necessità di “migliorare la capacità di risposta”, “accelerare gli investimenti militari” e sviluppare “coalizioni di capacità” in tutti i campi chiave: dalla difesa aerea alla mobilità militare, dai droni all’intelligenza artificiale, fino all’industria degli armamenti. Tuttavia, queste parole rivelano un possibile svuotamento dell'identità europea come forza di pace.
La nuova tabella di marcia prevede anche la creazione di un mercato unico europeo per l’equipaggiamento militare, volto a ridurre la dipendenza da fornitori esterni e a velocizzare le consegne. Questa scelta, tuttavia, accelera anche la corsa alla militarizzazione.
L’ambiziosa strategia di difesa viene adottata senza il consenso pieno dei cittadini europei che vedranno un aumento della pressione fiscale e dei tagli alla spesa sociale.
Il quadro d’insieme di questa roadmap, quindi, è un susseguirsi di scudi tecnologici e droni armati dietro cui si nasconde una retorica bellica che rischia di diventare un vero e proprio requiem per l’Europa come baluardo della pace.
È importante sottolineare che la deterrenza non dovrebbe significare scivolare in escalation non volute. Il progetto di “Eastern Flank Watch” è emblematico: pensato per rafforzare i confini orientali, potrebbe tuttavia aumentare il rischio di trascinare l’Europa in un’escalation pericolosa. La difesa dello spazio e delle infrastrutture satellitari, infine, è un tema cruciale ma introduce nuovi fronti d’inquietudine tra grandi potenze, aprendo scenari di conflitto.
La Defence Readiness Roadmap 2030 individua nove aree chiave in cui gli Stati membri dell’UE devono formare coalizioni di capacità per colmare criticità operative e tecnologiche. Queste priorità includono la difesa aerea e missilistica, i facilitatori strategici, la mobilità militare, i sistemi di artiglieria, la cybersicurezza, l’intelligenza artificiale e la guerra elettronica, i missili e le munizioni, i droni e i contro-droni, nonché il combattimento terrestre e marittimo.
Per ogni area sono previsti progetti congiunti che dovranno essere lanciati entro la metà del 2026, con l’obiettivo di raggiungere, entro la fine del 2027, il 40 per cento degli acquisti di difesa effettuati in modo condiviso fra i paesi membri.
Questo piano non solo definisce chiaramente priorità tecnologiche e operative ma fissa termini stringenti per la loro realizzazione e ribadisce la necessità di un forte coordinamento e un’unione d’intenti fra gli Stati membri.
Questi dettagli tecnici, temporali e finanziari rappresentano un elemento fondamentale per comprendere la profondità e l’urgenza del processo di militarizzazione e riorganizzazione della difesa europea delineato dalla Defence Readiness Roadmap 2030.
La tabella di marcia rappresenta un passaggio cruciale in cui l’Europa sembra aver scelto di abbandonare la sua vecchia veste di custode della pace per intraprendere una strada di militarizzazione sempre più marcata.