La recente sentenza della Corte di Cassazione ha escluso definitivamente ogni legame tra Silvio Berlusconi, Marcello Dell’Utri e Cosa Nostra, ponendo fine a uno dei più longevi e divisivi capitoli della giustizia italiana.
Questo verdetto segna il tramonto di decenni di dibattiti, sospetti e processi che hanno pesato come un macigno sulla reputazione del presidente di Fininvest e leader politico che ha inciso profondamente sulla storia del Paese.
La decisione dei giudici arriva dopo trent’anni di tormentato percorso giudiziario, durante il quale Berlusconi è stato spesso rappresentato come una figura in bilico fra l’imprenditoria e le ombre delle mafie siciliane.
A dare voce al clima emotivo scaturito dalla sentenza è stata Marina Berlusconi, figlia di Silvio e presidente di Fininvest, attraverso una lettera pubblicata su Il Giornale. Marina ha messo in luce la doppia natura della giustizia italiana, paragonandola alla luna: da un lato «la nostra grande civiltà giuridica, il rispetto delle regole e la giusta fiducia nello Stato di diritto», dall’altro «la luna nera», dove «agisce quella piccola parte di magistratura che si considera un contropotere investito di una missione ideologica».
Questa lettera, che bilancia il riconoscimento dell’importanza delle istituzioni con una critica al loro funzionamento interno, sottolinea anche come la malagiustizia abbia avvelenato la vita di suo padre «per trent’anni, devastati dalle calunnie e dalle false accuse».
Sulla scia delle parole di Marina Berlusconi, Tag24 ha raccolto il commento dell’avvocato Carlo Taormina, tra i maggiori esperti di diritto penale e profondo conoscitore delle battaglie giudiziarie di Silvio Berlusconi.
Taormina, in esclusiva, ripercorre la storia personale e le vicissitudini del Cavaliere: «Ho conosciuto Berlusconi prima che si fondasse Forza Italia e quindi ho seguito tutte queste vicende. Vorrei ricordare che in quella famiglia c’è stato il terrore per il pericolo di sequestro di Piersilvio Berlusconi che allora era un ragazzo, e c’è stato l’incendio alla Standa di Catania e ci sono stati gli incendi e i danneggiamenti di tutti i trasmettitori presenti in Sicilia per l’allora Mediaset, che si chiamava Fininvest e quant’altro. Dico questo perché io ho sempre, diciamo, rimproverato sia a Marcello Dell’Utri che a Berlusconi di non aver mai fatto presente questa situazione, e credo che se l’avessero fatto, probabilmente tante cose non si sarebbero verificate. Berlusconi, così come Marcello Dell’Utri, non hanno mai fatto nulla di quello di cui sono stati sempre accusati».
Taormina sottolinea la sofferenza e la tenacia del leader: «Io ho seguito molti dei processi che hanno riguardato Silvio Berlusconi, so le persecuzioni che ha subito, so i dolori e le vicende drammatiche con le quali si è dovuto confrontare ed è stato veramente un eroe, che però non ha avuto mai giustizia nell’ambito in cui doveva averla, cioè nell’ambito dell’amministrazione giudiziaria».
Sulla pronuncia della Cassazione, l’avvocato esprime una profonda soddisfazione, ma anche amarezza per il tempo trascorso: «Mi fa molto piacere questa sentenza che conclude, per così dire, un percorso trentennale; ne fa una valutazione complessiva, ne fa una valutazione basata su circostanze di fatto precise, compreso l’incipit al quale prima facevo riferimento dei ricatti esercitati contro Berlusconi dalla mafia. Per cui credo veramente che finalmente sia stata fatta giustizia e che Berlusconi possa essere definitivamente consegnato ai più grandi degli statisti che l’Italia ha potuto annoverare».
Il caso di Silvio Berlusconi rappresenta senza dubbio un capitolo emblematico e dall’enorme impatto nella storia giudiziaria e politica italiana degli ultimi trent’anni. La vicenda giudiziaria che lo ha riguardato ha attraversato decenni di processi, accuse, indagini, e divisioni, diventando un simbolo delle tensioni tra politica, media e magistratura nel nostro Paese.
Tuttavia, quel lungo percorso non si è ancora chiuso sul piano della giustizia nel suo complesso, perché anche oggi persistono problematiche profonde nel funzionamento del sistema giudiziario italiano.
Basti pensare a quanto successo di recente all’Università Niccolò Cusano con Stefano Bandecchi, che dopo essere stato oggetto di una dura gogna mediatica e di un sequestro giudiziario, sta ora lentamente ottenendo giustizia nei tribunali.
Questa vicenda è indicativa di un fenomeno più ampio: nella nostra società si tende a concedere un’enorme enfasi e visibilità alle accuse, spesso amplificate dai mezzi d’informazione, mentre le sentenze di assoluzione o i pronunciamenti favorevoli passano in secondo piano e quasi si dissolvono nell’oblio mediatico.
L’analisi di Taormina si allarga anche al tema della politicizzazione della magistratura, una delle criticità principali segnalate da Marina Berlusconi e oggetto di dibattito istituzionale. «La magistratura è fatta di due componenti che, anche se non sono totalizzanti, sono molto presenti e forti. Una è quella degli odiatori e l’altra quella dei politicizzati. Dico che è necessario fare questa distinzione perché l’odiatore, il magistrato odiatore, i tribunali odiatori, i pubblici ministeri soprattutto odiatori, scelgono le vittime. Le vittime normalmente sono costituite da chi ha successo nella vita; è quasi una sorta di mania di persecuzione che viene esercitata in chi ha qualche debolezza di carattere, di volontà, di capacità», afferma Taormina, richiamando alla memoria anche casi recenti come appunto quello di Bandecchi e Unicusano.
Il fenomeno della magistratura politicizzata non riguarda soltanto i processi contro Berlusconi, ma si inserisce in un quadro più ampio di crisi di fiducia nell’apparato giudiziario italiano: «Certo che ci vuole un modo per chiuderla questa faccenda, che ha fatto scendere la fiducia dei cittadini nella magistratura al 63-64%, quindi oggi solo un italiano su tre ritiene che la magistratura possa essere ritenuta indenne da censure e normalmente l’italiano su tre corrisponde ad appartenenti al mondo di sinistra, perché quello è un mondo che da sempre è stato privilegiato. Ricordo per tutti le vicende di Mani Pulite dove tutti i partiti furono attaccati, ma il Partito Comunista non fu attaccato».
A conclusione della riflessione di Taormina, emerge la volontà di riformare profondamente l’assetto della giustizia, una posizione che coincide, nei contenuti, con quella espressa da Marina Berlusconi nella sua lettera. «Questa situazione può essere eliminata soltanto con una riforma radicale. Noi abbiamo una Costituzione che favorisce questo tipo di presenze di odiatori e di politicizzati, perché pubblici ministeri e giudici stanno insieme, godono delle stesse prerogative, godono delle stesse immunità e quindi insieme solidarizzano quando prendono di mira un cittadino».
Secondo Taormina, la separazione delle carriere rappresenta il primo passo necessario: «La riforma che sta per essere sottoposta al vaglio dell’opinione pubblica, cioè la cosiddetta separazione delle carriere, farà due cose: la prima metterà il pubblico ministero in una condizione in cui non è più garantito come era garantito in precedenza e quindi potrà fare meno lo sbruffone di quanto non possa fare fino a questo momento, e soprattutto darà autonomia, indipendenza e dignità all’avvocatura. Questo è un aspetto che nessuno prende in considerazione. Avere un’avvocatura efficace, efficiente che garantisca i diritti dei cittadini è l’antidoto più importante agli odiatori e ai politicizzati della magistratura. Quindi questa è la riforma che ci voleva».