Oggi in Italia serve il coraggio di gridare una scomoda verità: i maranza stanno dilaniando interi pezzi di città, cultura e civiltà a suon di ignoranza, violenza e arroganza quotidiana. Non sono ribelli romantici, né sciagurate “vittime sociali”: sono il prodotto diretto di anni di lassismo istituzionale, di inseguimento ossessivo al politicamente corretto e di buonismo cronico.
Un mix velenoso che ha concesso a bande di ragazzini di crescere protetti da un senso d’impunità nauseabondo, abituandoli all’idea che lo Stato al massimo li richiami a scuola per poi rimandarli subito fuori a scippare, minacciare, demolire ogni principio di regola e di convivenza.
Le cronache ormai sono un bollettino di guerra urbana: furti, pestaggi, rapine, aggressioni a danno di cittadini comuni in metropolitana, nei parchi, nei centri storici. Una criminalità giovane fatta di bande in cerca di fama facile su TikTok, alimentata da trap da quattro soldi e dal mito guasto del “delinquente di quartiere”.
Ragazzini che credono che la società sia solo una giungla da dominare a colpi di arroganza e bullismo. E mentre la politica si incarta nei discorsi sul “disagio giovanile” o perde tempo a litigare sulle etnie, la realtà cruda è che il cittadino oggi è stato abbandonato: fermano i baby criminali, li denunciano, li rilasciano, e il giorno dopo li ritrovi di nuovo liberi di devastare quartieri interi.
La sicurezza, in queste condizioni, è una favola, buona solo a prendere in giro chi ancora crede nell’autorità delle istituzioni.
La realtà è che questa sottocultura non ha nulla a che fare con la ribellione sociale: è puro marciume che infetta i quartieri trasformandoli in jungla, dove sopravvive chi minaccia di più e chi urla più forte. Individui che disprezzano l’istruzione, che si beffano di chi lavora e dell’onestà, idolatrando la prepotenza e il guadagno facile.
Il maranza, oggi, non è nemmeno più un fenomeno marginale: è diventato lo stile del degrado, l’epidemia che si espande ovunque il vuoto educativo incontri famiglie compiacenti e uno Stato inerme.
È finita l’epoca delle scuse banali e del vittimismo. Un Paese serio non ignora la degenerazione sotto i propri occhi: serve rompere il circolo vizioso di lassismo a colpi di pene severe, regole nette e stop alle scusanti piagnucolose.
I maranza non meritano indulgenza: meritano la durezza che loro stessi infliggono a chi subisce le loro azioni. L’unica via è riprendersi le città, spezzare il ricatto quotidiano di chi usa la violenza come status, di chi fa della prepotenza la sua unica bandiera. Difendere i maranza equivale a legittimare il degrado, tradire la comunità stessa e ogni principio di civiltà.
Ma andiamo oltre: bisogna chiamare le cose col loro nome. Una fetta importante di questa nuova criminalità arriva da figli di immigrati di seconda generazione che, invece di integrarsi, scelgono consapevolmente la via della delinquenza.
Non vivono più “ai margini della società”: occupano il centro delle nostre città, rendendole zone franche per bande e microcriminalità, tra furti, spaccio, rapine e violenze.
Questi ragazzi cresciuti in Italia paiono a loro agio solo nel creare insicurezza e degradare i quartieri, come se costruirsi un futuro onesto fosse una fatica troppo grande. Non serve ipocrisia: è una realtà confermata anche dalle statistiche ufficiali, che mostrano una sproporzione inquietante tra presenza straniera e reati commessi, specialmente nei contesti urbani più delicati.
Non è questione di razzismo, ma di responsabilità: chi cresce qui, usufruisce delle opportunità del nostro sistema e poi si fa beffe delle regole, tradisce sia il Paese che lo ha accolto che la comunità da cui proviene.
Basta buonismi: chi imbocca la strada della prepotenza e della delinquenza compie una scelta chiara. E allora, se lo Stato non sarà in grado di imporre regole forti e pene esemplari, che sia la società stessa a riscoprire il coraggio di dire basta. Rispetto, sicurezza e civiltà non sono negoziabili. Chi non rispetta queste regole, non deve aspettarsi alcuna tolleranza.