Negli ultimi decenni, la Corea del Sud è stata considerata un alleato fedele degli Stati Uniti nella delicata regione dell’Asia-Pacifico. Gli ultimi anni hanno segnato un cambiamento profondo, non solo nella politica interna, ma anche nel posizionamento geopolitico di Seul, segnando un allontanamento sia dalla tradizionale dipendenza da Washington sia dalla crescente influenza della Cina di Xi Jinping.
Storicamente, la Corea del Sud ha basato la sua politica di sicurezza sul forte supporto americano. Da ricordare soprattutto il periodo successivo alla guerra di Corea e quello durante la Guerra Fredda, caratterizzato da un’alleanza militare significativa tra i due paesi.
Il sostegno di Washington a Seul è stato ritenuto fondamentale per la difesa contro la minaccia del regime nordcoreano. La Corea del Sud ha rappresentato, inoltre, anche una base di influenza americana nell’area Indo-Pacifico.
La Cina resta un partner economico importante per la Corea del Sud e rappresenta un attore chiave negli sforzi di Seul per diversificare le proprie relazioni commerciali. Pechino è il suo principale partner commerciale e un mercato vitale per le esportazioni. Al contempo, la sfida complessa di Seul è quella di ritrovare un equilibrio geopolitico che eviti lo schieramento netto contro gli Stati Uniti.
Sotto la guida di Lee, la Corea del Sud sembra perseguire una politica più centrale, mirata a un percorso di diplomazia multilaterale e pragmatico. Questa strada non è priva di rischi: il Paese deve navigare tra due superpotenze mondiali. Il pericolo di finire “schiacciata” tra le due potenze è concreto, ma Seul sembra determinata a evitare scelte binarie che comprometterebbero la sua sicurezza e prosperità.
La netta vittoria elettorale del presidente Lee Jae-myung ha posto fine a uno dei periodi politicamente più turbolenti della Corea del Sud negli ultimi decenni. Nel dicembre 2024, il suo predecessore, Yoon Suk-yeol, aveva imposto brevemente la legge marziale, provocando una crisi costituzionale. La situazione ha portato ad una mobilitazione popolare di massa che ha portato alla destituzione di Yoon. Ma, nonostante il cambio di leadership, il Paese resta profondamente diviso.
Alla vigilia del vertice APEC, che si aprirà il 31 ottobre a Seul, migliaia di manifestanti sono tornati nelle strade della capitale, questa volta per protestare contro Pechino. Le dimostrazioni riflettono la complessità dell’opinione pubblica sudcoreana nei confronti della Cina. I manifestanti hanno tenuto anche proteste anti-USA a Gyeongju, in occasione dell’arrivo di Donald Trump.

Il governo Lee si prepara ora a ospitare un vertice di alto profilo, che riunirà i leader di Stati Uniti e Cina, un incontro che potrebbe ridefinire gli equilibri regionali. È previsto anche un colloquio bilaterale tra Donald Trump e Xi Jinping, il primo dalla rielezione del presidente americano.
Quando Lee ha assunto la presidenza, la maggior parte dei paesi al mondo stavano già affrontando i dazi imposti da Trump. Seul ha promesso nuovi investimenti negli Stati Uniti, ottenendo in cambio una riduzione dei dazi dal 25 per cento al 15 per cento.
Tuttavia, un nuovo punto di attrito si è verificato nel mese di settembre, quando le autorità americane hanno condotto un blitz dell’immigrazione in uno stabilimento industriale, arrestando oltre 300 lavoratori sudcoreani. L’evento ha scatenato polemiche e messo in discussione la solidità dell’alleanza con gli Stati Uniti, proprio mentre Lee cerca di posizionare il Paese in una posizione più neutrale tra le due superpotenze.