01 Nov, 2025 - 15:00

L’ideologia woke in copertina, quando le “donne dell’anno” sono trans: il caso Glamour UK

L’ideologia woke in copertina, quando le “donne dell’anno” sono trans: il caso Glamour UK

Sta facendo molto discutere la copertina speciale scelta quest'anno da Glamour UK per celebrare le “donne dell'anno”.

La versione inglese della celebre rivista di moda patinata ha, infatti, scelto di pubblicare in prima pagina uno scatto di nove attiviste donne transgender. 

Le protagoniste dello scatto indossano la t-shirt “Protect the dolls”, opera dello stilista americano Conner Ives, famosa perchè tra simboli delle manifestazioni contro le politiche del presidente americano Donald Trump, che come è noto ha intrapreso una vera e propria crociata contro l'ascesa imperante della cultura woke negli USA. 

Nessuna personalità femminile, biologicamente donna, è stata inclusa nella copertina celebrativa.

Questa operazione – celebrata come coraggiosa e progressista dalla stampa mainstream – sta scatenando un vera e propria bufera in rete e reazioni indignate, persino da voci femministe e autrici note in tutto il mondo, come la celebre scrittrice di J. K. Rowling, la creatrice di Harry Potter.  

Follia woke: rivista premia le “donne dell'anno”, ma sono tutte transgender

Al di là degli intenti dichiarati, per molti commentatori questa scelta avrebbe i tratti di una provocazione, se non di una forzatura: premiare le figure femminili dell'anno e poi provocatoriamente mettere in prima pagina solo donne transgender, equivale - secondo i critici - a trasmettere l’idea che la femminilità sia una semplice questione di percezione personale, cancellando il valore di milioni di donne la cui identità è il frutto di esperienze biologiche e sociali spesso faticose e complesse.

Le critiche non sono mancate, inclusa quelle della scrittrice J.K. Rowling, che ha sottolineato come si stia passando dall’essere invitate a essere “più magre e belle” ad apprendere che “gli uomini sono donne migliori di loro”. 

virgolette
“Sono cresciuta in un'epoca in cui le riviste femminili più diffuse dicevano alle ragazze che dovevano essere più magre e più carine. Ora le riviste femminili più diffuse dicono alle ragazze che gli uomini sono donne migliori di loro.”

Ha scritto su X, dando voce a chi non ci sta ad assecondare i dettami del woke e del politically correct. Il suo post è stato condiviso da molti, indignati per l'iniziativa della rivista britannica.

Il rischio evidenziato in molti commenti è quello di una nuova esclusione: includere alcune minoranze può tradursi nell’escludere altre, generando nuove forme di discriminazione sotto la bandiera di una uguaglianza prescrittiva e dogmatica. ​

L’onda lunga delle imposizioni woke: oltre il “caso Glamour”

La cultura woke, originariamente nata per favorire maggiore tolleranza e apertura, secondo molti voci critiche si sta progressivamente irrigidendo in una nuova ortodossia che riscrive criteri, linguaggio e persino definizioni biologiche.

La scelta mediatica, legittima per una rivista privata, si inserisce in un contesto di crescente polarizzazione: chi dissente viene sanzionato pubblicamente e le preoccupazioni delle donne biologiche rischiano di essere silenziate o derise.​

Questa tensione permea anche la vita politica, le dinamiche scolastiche e quelle aziendali, dove l'inclusività viene spesso declinata come rinuncia al pragmatismo e alla libertà di opinione.

Il vero pericolo non risiede nei diritti della comunità trans, che devono essere garantiti, quanto nella trasformazione del dissenso in eresia: una società che pretende obbedienza ideologica rischia di svuotare la democrazia dei suoi principi fondanti.

È sempre più palese che viviamo in un’epoca in cui la battaglia per i diritti rischia di essere sequestrata dall’ideologia. Dare voce a chi è stato discriminato è sacrosanto, ma azzerare la realtà per compiacere una minoranza ben organizzata significa tradire il senso stesso di inclusione e giustizia. 

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