Il 4 e 5 novembre 1925 sono date simbolo nella storia della repressione fascista nei confronti della massoneria. Fu in quei due giorni che le autorità di polizia e le milizie del regime occuparono Palazzo Giustiniani, sede del Grande Oriente d’Italia, e molte logge massoniche sul territorio italiano. L’ordine era arrivato direttamente dal governo all’indomani del fallito attentato a Benito Mussolini che aveva visto coinvolti Tito Zaniboni, deputato socialista riformista e libero muratore, e il generale Luigi Capello, anche lui iscritto alla Massoneria, entrambi arrestati. L’episodio fu in realtà l’occasione attesa dal regime per colpire in modo definitivo la massoneria, già da tempo nel mirino del nascente regime. “Il Partito Fascista, premuto anche dalla base, andava in cerca di un pretesto per sviluppare il clima di violenze ormai generale in tutta Italia contro la massoneria e i massoni e per compiere atti definitivi… e lo creò con il cosiddetto attentato del 4 novembre 1925”, scrive Umberto Cipollone nel suo libro “La lotta tra la Massoneria e il Fascismo”, dando conto anche dell’assalto messo immediatamente in atto contro la sede del Grande Oriente d’Italia e proseguito all’alba del giorno successivo, sotto forma di una vera e propria operazione di polizia, volta a “garantire la sicurezza dello Stato”.
Un’azione che cercava di dare una veste di legalità all’operazione, condotta con disciplina militare, eseguita secondo direttive impartite personalmente da Mussolini alle prefetture e diffuse dall’Agenzia Stefani. Il messaggio ufficiale del capo del governo diceva testualmente: “La notizia del mancato attentato contro di me non deve in alcun modo suscitare rappresaglie da parte fascista. L’ordine non deve essere minimamente turbato. […] Le misure del Governo, consistenti nell’occupazione di tutte le logge, nell’arresto di tutti i colpevoli, nello scioglimento del Partito Unitario e nella sospensione del giornale Giustizia, devono escludere altre iniziative di qualsiasi specie di ordine individuale. Sono certo che tutti i fascisti obbediranno come sempre. B. Mussolini.” Parole che, dietro la retorica dell’ordine e della misura, nascondevano una vera e propria spoliazione. I locali furono perquisiti, gli archivi sequestrati, molti documenti dispersi o distrutti. Con l’occupazione di Palazzo Giustiniani, il fascismo si appropriava non solo di un edificio, ma del cuore simbolico e morale della massoneria italiana, che in quel luogo aveva avuto la sua sede fin dal 1911.
Dietro le vetrate di Palazzo Giustiniani si chiuse una stagione di libertà e di pensiero indipendente che aveva radici nel Risorgimento e nella tradizione liberale italiana. Nella sua spoliazione e nel suo silenzio forzato, la massoneria divenne simbolo di una nazione che perdeva, un pezzo dopo l’altro, la propria coscienza civile. A chiudere il cerchiò fu l’entrata in vigore il 28 novembre successivo della legge n. 2029 dal titolo burocratico ma dal contenuto liberticida: “Regolarizzazione delle attività delle associazioni, enti e istituti e dell’appartenenza ai medesimi del personale dipendente dallo Stato, dalle provincie e dai comuni”. Il provvedimento vietava di fatto l’appartenenza alla massoneria a tutti i dipendenti pubblici, militari e civili, e imponeva loro di dichiarare le proprie eventuali affiliazioni ad associazioni “i cui soci siano vincolati dal segreto”. Chi non lo avesse fatto, sarebbe stato destituito o licenziato. Anche oggi ci sono ammiratori di quella legge.
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