Il guadagno medio di una borseggiatrice può arrivare fino a 2.500 euro al giorno, una cifra che lascia sgomenti e che getta nuova luce sulle dinamiche della microcriminalità nelle città italiane. Paolo Del Debbio, su La Verità, ha evidenziato come i guadagni derivanti dai furti con destrezza possano facilmente superare quelli di professionisti o calciatori di Serie A, toccando i 700.000 euro l’anno, numeri simili a quelli di mercati criminali come lo spaccio o la prostituzione.
Secondo le indagini riportate, una sola borseggiatrice riesce a portare a casa cifre impressionanti ogni giorno, approfittando di sistemi giudiziari che favoriscono il cosiddetto “entra ed esci” dal carcere.
Tradotto: fermata in flagranza, arrestata, scarcerata qualche ora dopo, pronta a tornare di nuovo in azione. È una dinamica che si ripete da anni, alimentando la sensazione di totale impunità. Questo circolo vizioso è stato reso possibile da una combinazione di norme poco incisive e da una pratica giudiziaria che, per ragioni di sovraffollamento e mancanza di pene realmente dissuasive, risulta inefficace a spezzare il meccanismo.
La cronaca più recente si concentra su Venezia, dove una maxi-operazione delle forze dell’ordine ha portato all’adozione di 23 provvedimenti cautelari contro una gang composta da venti donne e tre uomini, tutti senza fissa dimora.
Si tratta di una delle prime azioni concrete che finalmente interrompono la catena infinita di micro-arresti e scarcerazioni. Dopo due anni di indagini, il gruppo è stato bloccato, gettando una nuova speranza per commercianti e cittadini esasperati da anni di furti nei trasporti pubblici, nelle stazioni ferroviarie e nelle strade.
Paragonare il "reddito" di queste borseggiatrici a quello di atleti professionisti o a chi opera nei circuiti illegali può apparire una provocazione, ma i dati lo confermano: 2.500 euro al giorno equivalgono a 700.000 euro annui, numeri che superano il salario medio italiano e sono paragonabili agli introiti dei mercati criminali.
A differenza però di chi delinque in modo organizzato, la microcriminalità urbana si avvale spesso della fragilità sociale: nessuna fissa dimora, movimenti continui, assenza di radici che rende difficile il lavoro di prevenzione.
Questi dati pongono seri interrogativi sull’efficacia delle politiche di sicurezza e sull’effettiva capacità dello Stato di intervenire. Il fatto che un individuo o un gruppo possa accumulare simili fortune in regime di sostanziale impunità dimostra che il tessuto urbano soffre di una voragine sistemica.
La microcriminalità organizzata si muove tra pieghe normativo-procedurali, e spesso trova protezione nella burocrazia e nei limiti delle leggi. Questo modello “economico” criminale si replica da nord a sud Italia, con epicentri nelle grandi città e nelle aree di maggiore fragilità sociale.
L’operazione veneziana, pur rappresentando un punto di svolta, non risolve il problema alla radice. I cittadini continuano a denunciare furti regolari, soprattutto nei mezzi pubblici e nelle zone turistiche.
Le ferite aperte dall’impunità alimentano sfiducia nelle istituzioni e talvolta producono pericolose derive di giustizia fai-da-te, mettendo a rischio la sicurezza collettiva.
Serve un cambiamento strutturale: norme più severe, prevenzione territoriale, interventi mirati sulle fasce sociali vulnerabili e una giustizia capace davvero di correggere, non solo punire a intermittenza.
Il caso della borseggiatrice da 2.500 euro al giorno non è una semplice anomalia, ma il sintomo di un sistema che, paradossalmente, premia chi trasgredisce più di quanto riesca a tutelare chi rispetta le regole.
Il messaggio lanciato dagli arresti di Venezia dovrebbe diventare la norma anziché l’eccezione, ponendo fine a un meccanismo che trasforma le grandi città in terre di conquista per professionisti del furto, impuniti e spesso invisibili.
Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.
I campi obbligatori sono contrassegnati con *