Il vice capo del Consiglio di sicurezza russo, Dmitriy Medvedev, torna al centro del dibattito sulla guerra in Ucraina dopo un silenzio alquanto duraturo. Mai banale nelle sue dichiarazioni, l'ex presidente lancia una nuova minaccia all'Occidente durante un'intervista:
Ma le provocazione dell'ex inquilino del Cremlino non si fermano qui, poiché secondo la sua previsione circa l'operazione militare speciale "l'intera Ucraina rimasta sotto il dominio di Kiev andrà in fiamme".
Guerra in Ucraina, giorno 346, tengono banco le dichiarazioni di Dmitriy Medvedev sia sulla carta stampata che sul profilo ufficiale di Telegram.
Secondo il vicepresidente del Consiglio di sicurezza russo, la fornitura di tutti i tipi di armamenti, tra cui le attrezzature militari e speciali, aumenterà significativamente nel 2023: un segnale che la Russia è pronta a una guerra lunga, probabilmente anche grazie al supporto ricevuto da alcuni alleati strategici tra cui l'Iran. Poi, in maniera tronfia, ha dichiarato che tale abbondanza "consentirà di attuare una schiacciante sconfitta verso l'esercito ucraino, rimpinguato di armi dalle canaglie occidentali". Molti lo hanno definitio in maniera ironica e satirica "il nuovo imperialista russo".
Successivamente, Medvedev è tornato a rivolgersi ai cittadini europei, ricordando che sono loro a pagare il prezzo delle sanzioni che l'Ue impone alla Russia e i finanziamenti ingenti di Bruxelles a Kiev. Altri passaggi salienti del suo monologo riguardano l'ipotesi nucleare ("dipenderà dal grado di minaccia per la nostra sovranità") e l'attacco agli Stati Uniti ("Se volessero potrebbero terminare il conflitto con uno schiocco di dita, ma non sono interessati").
Nel frattempo tiene banco il decimo pacchetto di sanzioni a Mosca che entrerà in vigore domani: vietata l'importazione del petrolio e affini di lavorazione russa, a cominciare dai carburanti. L'Ungheria ha attaccato aspramente questa decisione sottolineando che le devastanti ripercussioni che avrà sul comparto energetico nazionale. In merito a future carenze di carburante e aumenti dei prezzi, gli analisti sono scettici e ritengono che la Russia saprà sostituire il mercato occidentale con altre rotte, a cominciare dal Nord Africa.
Alla schiera di Paesi che tirano il freno a mano sull'invio di armi si aggiunge anche il Portogallo, chiamato a fornire cinque carri armati Leopard 2. Il quotidiano lusitano Sol parla di costi insostenibili sia sotto il profilo logistico che per quanto concerne la produzione di munizioni, ipotizzando un aggravio giornaliero di 100 milioni di euro.