Non si placa la polemica attorno al terzo posto ottenuto da Roma nella votazione finale per l'assegnazione dell'Expo 2030.
A far discutere non è tanto la mancata vittoria della Capitale - il trionfo di Riad era atteso - ma quanto il posizionamento ottenuto: il misero bottino di 17 voti raccolto dall'Italia evidenzia infatti come la strategia del Paese non abbia funzionato, sotto più punti di vista.
Dal ritardo nella candidatura alla debolezza degli accordi stretti in modo formale con gli altri Stati, passando per le indecisioni e l'impegno di tutti i livelli istituzionali, insomma, lo spazio della riflessione è ampio.
Ma di chi è la responsabilità per questa pesante sconfitta? E, soprattutto, la capitale sarebbe stata davvero pronta a ospitare un simile evento? La redazione di TAG24 ha rivolto queste domande a Federico Rocca, consigliere in Campidoglio di Fratelli d'Italia.
Consigliere Rocca, come commenta la sconfitta ottenuta da Roma alla votazione per Expo 2030?
«Sicuramente c'è l'amarezza per un'occasione persa. Detto questo, credo tutti si aspettassero la vittoria dell'Arabia Saudita. Il tema, più che altro, è la delusione portata da questi 17 voti. È evidente che all'ultimo ci sia stata una azione molto incisiva da parte di Riad che ha spostato i voti di chi era schierato con Roma.
Probabilmente questa candidatura poteva essere costruita meglio nel corso del tempo. Da quando il progetto è stato partorito, all'epoca dell'amministrazione Raggi, si è partiti con il piede sbagliato. Noi, come governo Meloni, abbiamo preso la candidatura all'ultimo miglio e abbiamo fatto quello che si poteva.
A questo dobbiamo aggiungere che Riad aveva iniziato a muoversi ancora prima dell'uscita dei termini della candidatura, mettendo in campo una quantità risorse che, chiaramente, Roma non ha.
C'è poi un tema di procedure: tutti gli aspetti di una campagna - dal logo al video promozionale, per fare qualche esempio - richiedono in Italia la presenza di un bando pubblico. In Arabia Saudita c'è un fondo sovrano nella totale disponibilità di una persona che può pagare e fare quello che vuole, senza rendere conto a nessuno».
Politicamente, dunque, lei non attribuisce responsabilità a nessuno in particolare?
«La campagna è partita male e, come in tutte le cose, gli errori impostati all'inizio si portano dietro nel corso del tempo. Aver proposto una candidatura debole, con poca comunicazione e una debole rete di interlocuzioni a livello diplomatico hanno certamente contribuito al magro risultato.
Non lo dico per appartenenza, ma il governo Meloni negli ultimi mesi ha provato a mettere in campo la diplomazia per portare voti verso Roma. È chiaro però che ha avuto solo otto mesi di tempo per farlo. I giochi a un certo punto erano evidentemente fatti.
E poi, mi faccia dire, le cronache che arrivano dall'estero forse non hanno aiutato».
Cosa intende?
«Chi legge di Roma sulle cronache internazionali probabilmente non si accontenta di slide ben confezionate e di video accattivanti, perché poi la realtà è ben altra.
I problemi di Roma sono, purtroppo, conosciuti ai Paesi che hanno votato. Forse qualcuno avrà pensato che la nostra città non era pronta ad accogliere un simile evento.
L'immagine che la Capitale ha dato di sé in questi anni non è edificante. Basta leggere i racconti del New York Times, del Washington Post, di Reuters. Non so se questo abbia inciso, ma di sicuro non ha aiutato».
Nel 2025 a Roma ci sarà il Giubileo. Come è messa la città?
«Male, malissimo: tutti i cantieri per il Giubileo sono in ritardo. Il rischio è che, all'apertura dell'Anno Santo, Roma sarà ancora paralizzata da tutti i lavori non terminati a causa di una mancata capacità di programmazione che pagheranno pesantemente non solo i turisti, ma anche i cittadini.
La cosa che sorprende è che il Giubileo non è un evento inaspettato: se ne conosceva la data da ben 25 anni. Cosa si è fatto allora per realizzare le opere nei tempi previsti?
I numeri ci dicono che nel 2025 Roma accoglierà circa 40 milioni di pellegrini, i quali si sommeranno alle presenze turistiche che già Roma fa abitualmente. Ma come farà la città? Dovremmo quasi consigliare ai romani di prendersi un anno sabbatico, perché per loro sarà davvero impossibile vivere la loro città..».
A quali cantieri fa riferimento? Quello della metro C a Piazza Venezia ha già mandato in tilt il centro.
«Pensi che quello di Piazza Venezia resterà così per altri 8 anni. Il sindaco Gualtieri ci ha però detto di essere contenti, dato che inizialmente sarebbe dovuto durare 10 anni.
Io stesso ho proposto al sindaco una soluzione per alleggerire il traffico riaprendo momentaneamente i Fori Imperiali fino a via Cavour. Mi è stato risposto che non si può fare.
La giunta Gualtieri sta poi portando avanti il progetto della tranvia Termini-Vaticano-Aurelio, aprendo di fatto un altro cantiere che interessa anche piazza Venezia. Ecco cosa intendo con assenza di capacità di programmazione e cantierizzazione delle opere.».
Così però si dà ai cittadini romani l'impressione che a Roma non si possa fare niente e tutto debba essere sempre rimandato.
«Capisco quello che intende, ma questo è il motivo per cui si dovrebbero programmare le opere ad esempio per quadranti: non è pensabile aprire tutti questi cantieri nella stessa area. È chiaro che il risultato è che si congestiona tutto.
Prendo l'esempio attuale: con il cantiere della tranvia che le dicevo si andrà a bloccare tutta la parte intorno al Vaticano, ovvero il cuore del Giubileo. Non sarebbe stato meglio dare la priorità a questo cantiere per permettere la partenza dei lavori il prima possibile?
Sappiamo poi che a Roma non può fare la metropolitana sotterranea ovunque: perché allora non concentrarsi sulle metro di superficie? È una questione di programmazione, essenziale dati tutti i problemi che spesso si creano in corso di realizzazione delle opere e che conosciamo bene. Basti pensare al problema dei fondi spesso insufficienti o ai vincoli delle Sovrintendenze».
Il programma di Fratelli d'Italia aveva al centro la riforma di Roma capitale. Ancora, tuttavia, non ci sono notizie in questo senso. Il tema si è perso?
«Assolutamente no, se ne parla anche a Palazzo Chigi. Anche la premier Meloni ha ribadito più volte l'intenzione di varare la riforma entro il termine della legislatura. In questo primo anno di Governo, tuttavia, ci sono state altre priorità, soprattutto di carattere economico.
A dimostrazione che il tema non è dimenticato, io stesso terrò un convegno l'11 dicembre dedicato proprio ai poteri speciali per Roma capitale.
Questa è infatti una riforma assolutamente necessaria per Roma, sia in termini di attribuzione di poteri che in termini di attribuzione dei fondi.
Con i poteri speciali i futuri sindaci di Roma, a prescindere da chi saranno, potranno avere le risorse per mettere in campo i progetti necessari ad una Capitale. Roma, ricordo, ha delle necessità vastissime che comportano delle spese veramente ingenti che nessuna altra città sostiene nello stesso modo.
Anche perché, se non si cambia, Roma resterà davvero ingovernabile: non a caso questa riforma è voluta in modo trasversale. Non è più accettabile che il sindaco della Capitale d'Italia abbia, su tanti temi, le mani legate o che abbia gli stessi poteri che ha il primo cittadino di una piccola città.
Con i poteri speciali, peraltro, si toglierebbero tanti alibi a tutti i futuri sindaci che non potranno più nascondersi dietro la mancanza di fondi o di attribuzioni di prerogative per coprire eventuali inadempienze».