Body cam agli agenti, sistemi anti droni e tecnologie per il rilevamento di oggetti proibiti: ecco alcuni degli elementi sui cui il ministro Nordio intende investire quest'anno per garantire maggior sicurezza nelle carceri italiane, nell'interesse tanto dei detenuti quanto degli agenti di Polizia penitenziaria.
La priorità di riassicurare una «esecuzione penale tra sicurezza e dignità» - messa nero su bianco nell'Atto di indirizzo per il 2024 del ministero della Giustizia - dovrà essere realizzata, nelle intenzioni del ministro, attraverso la messa in campo di ingenti sforzi per «prevenire le aggressioni al personale addetto agli istituti», garantendo, oltre alle strumentazioni, «investimenti consistenti e concorsi regolari» al fine di giungere al «completamento delle piante organiche» del personale di Polizia penitenziaria.
Tra i punti più interessanti delle misure indicate nell'Atto di indirizzo sottoscritto dal ministro Nordio vi è sicuramente l'impegno a dotare di body cam tutti gli agenti di Polizia penitenziaria, come richiesto da anni dalle associazioni sindacali del comparto.
Per sapere come sono state accolte le priorità individuate dal ministro per alleviare le difficoltà degli operatori del sistema carcerario, la redazione di TAG24 ha raggiunto Gennarino De Fazio, segretario generale di UILPA Polizia Penitenziaria.
Segretario De Fazio, nell'Atto di indirizzo per il 2024 il ministero della Giustizia ha indicato come prioritaria la dotazione di body cam agli agenti di Polizia penitenziaria. È d'accordo?
«Assolutamente sì: come UILPA PP siamo stati tra i primi sindacati a richiedere questo tipo di dotazione. Le ragioni per cui siamo favorevoli sono innanzitutto ragioni di trasparenza, affinché la Polizia penitenziaria non sia continuamente esposta a gogne mediatiche e procedimenti disciplinari.
Nelle carceri italiane si vive una situazione drammatica e le tensioni molto spesso si traducono in aggressioni ai danni degli agenti di Polizia: basti pensare che solo nel 2023 abbiamo conteggiato oltre 1.700 violenze contro i colleghi.
Di fronte a queste aggressioni la Polizia penitenziaria è costretta per legge a intervenire. Alle volte però può capitare che le strumentazioni di videosorveglianza fisse - quando presenti - riprendano solo una parte degli avvenimenti, determinando una visione di quanto accaduto che può essere distorta.
Siccome non abbiamo nulla da nascondere - e anzi vorremmo che le carceri divenissero "case di vetro" - abbiamo noi stessi chiesto di essere dotati di body cam, così da documentare tutto quello che avviene nelle carceri con massima garanzia e trasparenza».
Le body cam potrebbero essere uno strumento risolutivo per arginare il fenomeno delle violenze contro gli agenti di Polizia penitenziaria?
«Non credo, innanzitutto perché molte delle aggressioni che si verificano sono messe in atto da soggetti con disturbi mentali o psichici che probabilmente non dovrebbero neanche essere in carcere, oppure da soggetti stranieri o senza fissa dimora che come tali non possono accedere alle misure di detenzione alternative.
L'importanza delle body cam risiede, più che altro, nella possibilità di garantire la correttezza dell'operato della Polizia penitenziaria, che ribadisco è costretta per legge a intervenire nel caso di disordini o aggressioni».
Quali soluzioni potrebbero essere messe in campo per arginare le violenze contro gli agenti di Polizia penitenziaria?
«Se facciamo riferimento all'Atto di indirizzo per il 2024 del ministero della Giustizia vediamo che si parla di "completamento degli organici". Tuttavia noi già sappiamo che, secondo la programmazione del ministero e della Legge di bilancio, il completamento degli organici non potrà avvenire nel corso di quest'anno.
Rispetto a un fabbisogno reale di 18.000 unità, al personale di Polizia penitenziaria mancano oggi circa 6.000 agenti: se a questi aggiungiamo il turnover, arriviamo a 8.000 unità mancanti. Garantire le condizioni di sicurezza con un personale insufficiente e con il tasso di sovraffollamento carcerario al 120% è davvero difficile: ecco perché la conditio sine qua non per qualsiasi percorso sono le dotazioni organiche».
Quali altri strumenti tecnologici servirebbero per potenziare la sicurezza nelle carceri?
«Oltre al potenziamento dei sistemi di videosorveglianza, di cui si parla anche nell'Atto di indirizzo, sarebbe fondamentale prevedere la dotazione di software di Intelligenza artificiale. Lei si immagini un operatore che, da solo, deve sorvegliare una molteplicità di monitor: è chiaro che non può avere tutto sotto gli occhi.
I software di IA permetterebbero invece di allertare gli operatori quando si verificano atti di violenza o situazioni particolari. Non parliamo di cose fantascientifiche: questi sistemi già esistono nei nostri supermercati.
Anche i sistemi anti drone, infine, dovrebbero fare parte dell'equipaggiamento di serie del sistema di Polizia penitenziaria e non essere più considerati un optional».
È soddisfatto degli interventi approvati e dell'attenzione rivolta al comparto della Polizia penitenziaria dal governo Meloni?
«Siamo soddisfatti dell'attenzione e del cambio di narrazione avvenuto, oltre che della presa d'atto di quelle che sono le problematiche esistenti. Non siamo tuttavia altrettanto soddisfatti dei provvedimenti adottati sino ad oggi: l'attenzione mostrata non si è tradotta in provvedimenti tangibili in grado di curare la patologia e non solo i sintomi».
Nei primi giorni del 2024 si sono già consumati due suicidi in carcere. Il nostro sistema carcerario vive un'emergenza in questo senso?
«Sì. Nel 2023 ci sono stati 68 suicidi accertati nelle nostre carceri: sottolineo accertatati perché di altre morti purtroppo non sempre si conosce l'esatta causa. Se guardiamo ai dati degli ultimi venti anni, l'anno scorso è stato il terzo in assoluto per numero di suicidi in cella. Addirittura ci sono stati tre omicidi in carcere, in un luogo che dovrebbe essere il tempio della legalità e dove invece avviene di tutto.
Credo sia qualcosa di paradossale: uno Stato che non riesce a garantire la vita umana fa sorgere dei dubbi sullo stesso diritto a mantenere un'istituzione carceraria».
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