Perché Sant’Antonio Abate è il protettore degli animali? Oggi 17 gennaio cade la ricorrenza delle celebrazioni di Sant’Antonio Abate.
La tradizione religiosa racconta che fu il primo abate nonché fondatore del monachesimo cristiano. È ritenuto il protettore degli animali, in particolare dei maiali e di altro bestiame da allevamento, nonché dei macellai e dei salumai.
Proprio per questo motivo in tutta Italia si celebra la sua festività chiedendo la benedizione del bestiame di allevamento.
Nella sua iconografia lo vediamo spesso accompagnato da un maiale o un cinghiale, mentre sotto un piede cerca di schiacciare un serpente, simbolo del maligno.
Conosciamo gli avvenimenti della vita di Antonio Abate grazie a quanto riportato nell’opera intitolata Vita Antonii, scritta dall’allora vescovo di Alessandria d’Egitto, Anastasio. Tra i due nacque infatti una profonda amicizia e collaborazione nel contrastare l’arianesimo.
Antonio nacque a Coma, in Egitto, nel 251. Di estrazione agiata, fu indottrinato ai precetti cristiani dalla sua famiglia. A 19 anni Antonio rimase orfano. Dovette perciò gestire l’ampio patrimonio e la tenuta agricola ereditati, nonché badare alla sorella più piccola.
In quel periodo Antonio interpretò alla lettera l’esortazione evangelica secondo cui per essere un perfetto cristiano bisogna allontanare agi e ricchezze e donarle ai più bisognosi.
Antonio difatti destinò una comunità femminile alla sorella mentre concesse i restanti beni ai poveri della città. Da allora seguì una vita da eremita, vagando nei territori desertici attorno alla città natale e vivendo di preghiera e povertà.
Per questo motivo nella letteratura storica ci si riferisce a lui a volte anche con il soprannome Sant’Antonio del Deserto o l’Anacoreta, appellativo destinato a chi decidere di vivere in estrema solitudine per dedicarsi appieno pratiche ascetiche.
Affidarsi alla preghiera e alla devozione a Dio lo salvarono da innumerevoli tentazioni. Antonio iniziò ad avere terrificanti visioni, allucinazioni del Diavolo che cercavano di dissuaderlo dalla sua opera. Sembra che il Santo fu colto da terribili attacchi che arrivarono ad ustionargli la pelle. Da questa leggenda l’herpes zoster è conosciuto anche come Fuoco di Sant’Antonio.
Le gesta di Antonio furono infatti motivo di emulazione di tante altre persone. In poco tempo si venne a creare una vasta comunità di eremiti. È per questo motivo che è ritenuto il fondatore del monachesimo.
Antonio però continuò la sua vita in solitudine. Si rifugiò poi in un fortino nel deserto, dove poteva pregare giorno e notte. La sua unica compagnia era quella di animali domestici, di allevamento e uccelli.
La leggenda cristiana gli attribuisce anche capacità taumaturgiche. Dalla città molti si recarono da lui nel richiedere di guarire da malattie o possessioni del demonio.
Secondo le informazioni tramandate, Antonio sarebbe morto all’incredibile età di 105 anni, il 17 gennaio 356 d. C.
Perì nello stesso modo in cui aveva condotto tutta la sua esistenza: solo, nella preghiera e con la sola compagnia degli animali.
Ancora oggi la figura è associata alla protezione del bestiame da allevamento ed in particolare dei maiali. Accanto a sé avesse sempre un inseparabile maialino che lo seguiva dappertutto.
La leggenda infatti vuole che, durante un pellegrinaggio vicino ad una località di mare, Antonio si imbatté in una scrofa e il suo piccolo cucciolo molto malato. La madre lasciò al Santo il cucciolo di modo che potesse salvarlo.
Antonio lo guarì invocando l’intervento divino e da quel momento il maialino non abbandonò mai più il suo salvatore in segno di riconoscenza.
Ci sono altre storie che narrano le gesta leggendarie del Santo e dei suoi animali. La prima riporterebbe come il Santo, sceso negli inferi per salvare alcune anime, poté riuscire nel suo intento grazie all’azione del suo maialino, impegnato a distrarre Satana con una campana legata al collo.
La seconda invece riguarda uno strano evento accaduto durante la notte tra il 16 e il 17 gennaio. In quell’occasione, tutto il bestiame attorno a lui riuscì a comunicare parlando. Si tratterebbe però di un segno di mal auspicio: da allora le persone ritennero doveroso stare alla larga dalle stalle nella ricorrenza di quella notte.
La convinzione di questo avvenimento sarebbe tuttora radicata nell’immaginario religioso, tanto che i pastori puliscono attentamente le stalle e tutti i luoghi di ricovero degli animali da allevamento per poi allontanarsi da loro. Ascoltare le parole proferite dal bestiame darebbe infatti conseguenze spiacevoli.
Sant’Antonio non accettava l’uccisione degli animali né benché meno il loro utilizzo per l’alimentazione. È pertanto vietato sacrificare bestie in suo onore, specialmente galline o conigli.
Attenzione infine a non confondere Sant’Antonio Abate con Sant’Antonio di Padova. Quest’ultimo fu un religioso di origine portoghese, vissuto in epoca medioevale. Nacque infatti a Lisbona nel 1195 e presto intraprese un lungo viaggio per diffondere i precetti della religione cristiana, seguendo l’ordinamento dei frati francescani.
Proprio l’ammirazione per le azioni di San Francesco lo portarono dal Portogallo alla Francia e poi ad Assisi dove conobbe personalmente il Santo.
Il suo culto è legato in particolar modo alla città di Padova, dove Sant’Antonio decise di fissare la sua residenza quando non fosse impegnato nei suoi spostamenti per la carica di ministro provinciale dell’Ordine francescano per l'Italia settentrionale.