11 Mar, 2024 - 11:29

Recensione "Ancora un'Estate": Catherine Breillat torna al cinema con una nuova scandalosa pellicola

Recensione "Ancora un'Estate": Catherine Breillat torna al cinema con una nuova scandalosa pellicola

Lo scorso sette marzo è uscito al cinema "Ancora un'Estate" il nuovo film di Catherine Breillat remake di "Dronningen", lungometraggio danese candidato agli Oscar del 2020 come miglior film internazionale.
È un dramma che ci parla della passione inappropriata tra un diciassettenne e la moglie cinquantenne di suo padre.

"Ancora un'Estate", recensione

Anne (Léa Drucker) è una donna di circa cinquant’anni, ha una carriera di successo come avvocato ed è specializzata in casi di stupro e abuso di minori.
Vive poco distante da Parigi in una splendida villa in mezzo al verde.
Occhi smeraldo, capelli biondi, carnagione chiara un po’ giallastra, labbra sottili, fisico piuttosto asciutto e una manciata di rughe a segnarle il volto e a delinearle lo sguardo.
È sposata con Pierre (Olivier Rabourdin), un uomo più grande di lei che si divide tra famiglia e lavoro.
Avrà poco più di sessant’anni, gli occhi azzurri, pelle fine, chiara, appena rosata, un viso ordinario e un corpo che, soprattutto da nudo, mostra i segni del tempo.
Hanno due figlie adottive, ancora molto piccole.
La raffigurazione classica del cliché di una coppia di professionisti facoltosi.

All’inizio dell’estate irrompe in questo noiosissimo quadro di lentezza familiare Theo (Samuel Kircher), il figlio biologico di Pierre avuto da un precedente matrimonio.
Theo ha vissuto con la madre in un altro Stato, è cresciuto ribelle e spregiudicato e sfoggia i cenni della più comune sfrontatezza adolescenziale dietro la quale nasconde e maschera dei disagi emotivi.
Com’è normale che sia non ha un buon rapporto col padre finora assente, ma ha un ottimo legame con le sorelle adottive; è dolce con loro, come se mostrasse un animo gentile che è mancato a lui durante l’infanzia.

Ha diciassette anni e tutta l’esuberanza seduttiva di un ragazzo che gioca ad avere un fascino adulto, ma ha una bellezza delicata, acerba, quasi femminea.
Una folta chioma di ricci castano chiaro gli incornicia le guance tonde, ha gli occhi verdi, le labbra piene e il naso a patata. Ha un fisico esile ma ben fatto, è alto, ha la carnagione color latte e neanche un pelo come a sottolineare ulteriormente la sua giovane età.
Ha un aspetto che cattura lo sguardo, che accentra l’attenzione, e non somiglia affatto a suo padre.

Lui ed Anne inizialmente non vanno granché d’accordo: non si odiano, ma neanche si considerano molto.
Ma ad un certo punto però iniziano a ronzarsi intorno con naturalezza, attirandosi l’un l’altro come due coetanei.
Lei in compagnia del figliastro sembra divenire più giovane come fosse tornata ai tempi di scuola, se non che l’aspetto rimane sempre quello di una donna sulla cinquantina.
Pomeriggio dopo pomeriggio si avvicinano sempre di più e un’attrazione irresistibile si palesa quasi senza vergogna, facendosi addirittura palpabile.
Qualche notte più tardi i due consumeranno un rapporto sessuale ed è lì che inizierà una sfrenata passione inappropriata, che metterà a rischio le vite di entrambi.

"Ancora un'Estate", critica

Ancora un’Estate è il remake francese di Dronningen, un film danese candidato agli Oscar del 2020 come miglior film internazionale.
In questa versione di un dramma che tocca un tema particolarmente ostico la regia è di Catherine Breillat, regista e sceneggiatrice francese assai controversa, conosciuta per la sua rappresentazione emancipata e sconcia del complesso universo della sessualità e dell’erotismo femminile.
Cominciò la sua carriera da scrittrice nel ’68 pubblicando il romanzo L’Homme Facile, che venne poi censurato.
Debuttò al cinema nel ’76 con una pellicola che fece scandalo dal nome L’adolescente, che tratta le vicende di una sedicenne precocemente tormentata da fantasie erotiche e appetiti parecchio spinti.  

In questo lungometraggio invece sembra adottare una linea direttiva differente, se pur ponendo l’accento durante le scene di intimità più sul godimento e la percettività della protagonista che di quelli del maschio.
Anche in questo caso la donna è cacciatrice e sessualmente emancipata, come se fosse lei a condurre il gioco avendone il controllo, ma non è una storia che parla di erotismo in sé o di bramosie puramente erotiche. Difatti le scene di sesso sono appena accennate e molto delicate.

Affronta piuttosto il complesso mondo degli abusi sessuali e psicologici perpetrati da un’adulta ai danni di un adolescente.
Perché, per quanto durante il primo tempo la relazione può sembrare consensuale, non bisogna scordarsi che il tutto avviene con un minore, se pur diciassettenne, ancora incapace di vivere i rapporti sentimentali e carnali con la dovuta maturità richiesta per intrattenere una liaison con una persona di mezza età.
La regista è diabolicamente brava a farci percepire l’attrazione tra i due, a farci sentire la chimica, il desiderio inizialmente trattenuto ma ugualmente esplosivo, ma anche a farci provare disagio nei confronti di noi stessi facendoci assaporare una certa pulsione per un ragazzo che ha soli diciassette anni.
Ma ci fa anche arrivare in modo molto diretto la rabbia, il risentimento, la repulsione e il disgusto nei riguardi della malvagità del personaggio femminile, che nel secondo tempo si rivela particolarmente meschino.

Catherine Breillat con questa rappresentazione non ci va leggera nei confronti delle donne, dipingendo una personalità egoista e manipolatrice che tramite menzogne, ignominie e la tattica del silenzio punitivo, tortura di fatto un giovane inesperto, innescando per forza di cose una dipendenza emotiva senza vie di fuga.
La versione originale di questo dramma è più pesante proprio a livello di scelte di regia, perché benché condividano la stessa storia i due spettacoli hanno caratteristiche molto differenti.
Nella prima si sceglie una linea parecchio dura, grave, quasi cupa, nella seconda invece si punta maggiormente a rappresentare la parte spensierata e leggera di un’infatuazione tra i due sessi per poi terminare al culmine con un finale drammatico passando da leggerezza a pesantezza.
La fotografia è molto semplice, benché ci siano delle riprese e dei primi piani interessanti, perché è evidente che tutta l’attenzione è posta sulla sceneggiatura e non tanto sulle immagini.

È sicuramente un buon film che consiglio, ma...da vedere a stomaco vuoto.


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Marta Micales
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