Cos'è il caporalato? La Procura di Milano ha posto in amministrazione giudiziaria per presunto sfruttamento del lavoro la Giorgio Armani Operations, società che gestisce la produzione dei capi di alta moda del gruppo Armani.
Il reato contestato è quello di omesso controllo dell'attività delle aziende a cui era affidato l'appalto di produzione. Queste avrebbero infatti svolto pratiche di caporalato e sottoposto la manodopera a condizioni di lavoro disumane oltre a retribuire una paga al di sotto del minimo consentito.
L'inchiesta colpisce così un altro marchio della moda di lusso italiana con le stesse accuse mosse a Alviero Martini Spa di qualche settimana fa.
In cosa consiste il caporalato e quali sono le pene previste dalla legge italiana?
Il caporalato è una modalità non regolare di reclutamento e di gestione della manodopera.
Il termine deriva dalla figura del caporale, ovvero l'intermediario che si occupa personalmente di assumere lavoratori per brevi periodi senza garantire alcun diritto al dipendente.
Il fenomeno, oltre ad essere irregolare per la sua forma di lavoro nero, è contraddistinto dalla disumanità delle condizioni cui il lavoratore è sottoposto suo malgrado.
Il caporale infatti costringe i dipendenti a turni massacranti di 12 o anche 14 ore giornaliere oltre ad una retribuzione oraria ben al di sotto del minimo statale.
Il fenomeno del caporalato ha origine dalla seconda metà del XX secolo. Con la progressiva rivendicazione dei diritti dei lavoratori, le associazioni di criminalità organizzata hanno adottato sempre più questa pratica di sfruttamento.
Il primo settore in cui si è diffuso il caporalato è l'agricoltura. Ancora oggi è questo l'ambiente in cui i lavoratori hanno meno tutele e sono sottoposti a turni massacranti senza pause. Il caporalato si è però sviluppato anche nell'edilizia, nella manifattura artigianale come accaduto al Giorgio Armani Operations.
Gli operai sono reclutati di giorno in giorno, senza dunque la tutela di un contratto. La paga è notevolmente inferiore al minimo imposto per legge e ovviamente il datore di lavoro non versa regolarmente i contributi al suo dipendente. Tutte queste caratteristiche fanno sì che si arrivi a condizioni disumane di sfruttamento.
Il caporalato è purtroppo ancora molto diffuso sul nostro territorio. Le associazioni criminali sfruttano infatti questa pratica per ottenere il massimo profitto di resa senza dare il giusto compenso ai lavoratori.
Se al Sud Italia permane la pratica soprattutto nell'ambito agricolo, con lo sfruttamento spesso di persone di origine africana, al Nord il caporalato è maggiormente radicato nell'edilizia.
Anche in quest'ultimo caso, l'operaio dipendente non ha un contratto regolare e di conseguenza nessun diritto oltre ad un compenso salario iniquo.
In Italia il primo punto di svolta nella lotta al caporalato è il 2011. Prima di allora il reato era regolato dalla riforma Biagi del 2003 ma prevedeva pene al più di 6 mesi di arresto.
La legge n. 148 del settembre del 2011 definisce in maniera più esaustiva il reato come intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro e lo inserisce nel codice penale. Ad esso vengono così associate pene più severe.
Nel 2016 si ha un'ulteriore modifica al fine di combattere in maniera più aspra l'attività ancora enormemente diffusa sul nostro territorio. Nasce infatti la legge n. 199 che amplifica le responsabilità e aggiorna così l'articolo numero 603 bis del codice penale.
In qualità di intermediari, i caporali incorrono in una pena da 1 a 6 anni di reclusione in carcere oltre ad una sanzione pecuniaria variabile dai 500 ai 1000 euro per ciascun lavoratore sfruttato, ma anche l'azienda datrice di lavoro diventa oggettivamente responsabile e rischia la confisca di beni e attività produttive.
Lo sfruttamento del lavoratore viene quantificato in termini di ore lavorative al giorno, retribuzione oraria, condizioni di impiego e violazione delle norme di sicurezza.
Qualora infine sia dimostrata la condotta violenta del caporale, questi verrà punito da 5 a 8 anni di arresto, oltre ad un raddoppio della sanzione pecuniaria.