Un dipendente in malattia deve rispettare una serie di obblighi per mantenere il diritto alla conservazione del posto di lavoro e all'indennità di malattia. Primo fra tutti, è necessario rispettare gli orari di reperibilità per consentire le visite fiscali dell'INPS, indipendentemente dal tipo di malattia. Anche in caso di infortuni che non richiedono il riposo a letto, come un braccio rotto, il dipendente deve rimanere reperibile all'indirizzo indicato nel certificato medico. Tuttavia, ci sono casi in cui un dipendente può lavorare anche quando è in malattia, senza che scatti il licenziamento come sanzioni punitiva.
Il dipendente deve comunicare tempestivamente al datore di lavoro il proprio stato di malattia e sottoporsi a visita medica per ottenere il certificato digitale. Questo certificato viene inviato direttamente all'INPS dal medico curante, esonerando il dipendente da ulteriori adempimenti. La comunicazione al datore di lavoro deve avvenire secondo le modalità e i tempi previsti dal contratto collettivo nazionale del lavoro (CCNL) o, in mancanza di disposizioni specifiche, tramite telefono o altri mezzi tempestivi.
Durante il periodo di malattia, il dipendente deve essere reperibile per le visite fiscali negli orari stabiliti, che variano a seconda del settore pubblico o privato. La violazione di queste regole può comportare sanzioni severe, come la perdita dell'indennità di malattia o il licenziamento disciplinare.
Lo stato di malattia sospende il rapporto di lavoro, garantendo al dipendente il diritto alla conservazione del posto di lavoro per il periodo stabilito dalla legge o dal CCNL. Durante questo periodo, il lavoratore non può essere licenziato, salvo che l'assenza superi il cosiddetto periodo di comporto, stabilito dal contratto collettivo. Inoltre, durante la malattia, il dipendente continua a maturare l'anzianità di servizio e ha diritto a un trattamento economico, il cui importo è definito dalla legge o dal CCNL.
Una recente ordinanza della Corte di Cassazione (n. 12152 del 6 maggio) ha stabilito che un dipendente può svolgere attività lavorative "secondarie" o "ludiche" durante la malattia, a condizione che queste non pregiudichino o ritardino la guarigione. La Cassazione ha ordinato il reintegro di un dipendente licenziato per aver lavorato in un pub gestito dalla moglie durante il periodo di malattia, chiarendo che non esiste un divieto assoluto per il dipendente di svolgere altre attività durante l'assenza per malattia.
Il dipendente ha dimostrato che la malattia era certificata e che l'attività lavorativa era svolta per spirito di collaborazione familiare, senza retribuzione. Il tribunale ha stabilito che, in assenza di prove che l'attività lavorativa pregiudicasse la guarigione, il licenziamento non era giustificato.
Il lavoratore in malattia può svolgere altre attività lavorative o non lavorative, purché queste non compromettano la sua guarigione. La legge italiana non prevede un divieto totale di prestare altra attività durante i giorni di assenza per malattia, quindi il dipendente può impegnarsi in altre attività senza violare gli obblighi lavorativi, a meno che queste non interferiscano con il recupero della salute.
La nozione di malattia comprende situazioni in cui un problema medico causa una temporanea incapacità a svolgere una determinata prestazione lavorativa, ma non necessariamente tutte. Pertanto, un dipendente può essere incapace di svolgere il proprio lavoro abituale, ma in grado di svolgere altre attività compatibili con il suo stato di salute. Tuttavia, il dipendente deve evitare attività che possano prolungare la malattia o peggiorare le sue condizioni.
Secondo la giurisprudenza della Corte di Cassazione, un dipendente in malattia può svolgere altre attività lavorative, quindi anche da casa, purché queste non pregiudichino la guarigione. Se un dipendente svolge attività lavorative durante la malattia, queste devono essere compatibili con lo stato di salute. Il lavoro non deve ritardare la guarigione o essere in concorrenza con quello del datore di lavoro, poiché ogni dipendente ha un obbligo di non concorrenza con l'azienda presso cui lavora.
In conclusione, la giurisprudenza ha stabilito che l'esercizio di altre attività da parte del dipendente durante la malattia non è di per sé vietato, ma può giustificare sanzioni disciplinari se tali attività sono incompatibili con la guarigione. Il datore di lavoro ha l'onere di provare che la malattia sia simulata o che le attività svolte durante la malattia possano pregiudicare o ritardare il rientro al lavoro. Il giudice valuterà i fatti concreti, la natura della malattia e le mansioni svolte per determinare se il comportamento del dipendente giustifichi il licenziamento.