Muove i primi passi la riforma delle pensioni del 2025 tra le ipotesi di quota 41 (da introdurre) e la quota 103 da confermare insieme all'Ape sociale e all'opzione donna. In realtà le misure che rientreranno tra i canali di uscita anticipata nel prossimo anno, dovrebbero avere tutte un denominatore comune, ovvero quello del ricalcolo contributivo del futuro assegno di pensione. Per gli interessati alle misure cosiddette "ponte" rispetto alla pensione di vecchiaia, si tratta di un taglio del mensile, già sperimentato per le uscite dal 1° gennaio 2024 per la quota 103, mentre per l'opzione donna il ricalcolo esiste praticamente da sempre.
Considerando i numeri dei pensionamenti di quest'anno e i rapporti politici della maggioranza, si può prevedere che l'introduzione della quota 41 sia meno probabile della riconferma della quota 103. E, in ogni modo, anche se venisse introdotta, la quota 41 sarebbe soggetta al ricalcolo contributivo e ad altri vincoli che la allontanerebbero dall'acclamata "Quota 41 per tutti". Perciò sarebbe una misura "light", sulla quale il governo (in particolare Giorgia Meloni e Antonio Tajani) non sarebbero disposti a investire cifre folli nella Manovra 2025.
Più la conferma di quota 103 nel 2025 che la nuova quota 41 nella riforma delle pensioni della Manovra del prossimo autunno. È questa la pista più accreditata per una riforma che dovrà fare i conti con le risorse esigue della legge di Bilancio 2025 e con la spesa previdenziale che genera, annualmente, ben oltre 300 miliardi di euro.
Per questo motivo, il governo dovrà adottare o confermare misure che siano in linea a certi standard di spesa. E, da questo punto di vista, quota 103 - che consente di uscire a 62 anni di età con la quota 41 dei contributi - è la misura perfetta, perché dal 1° gennaio scorso comporta il ricalcolo contributivo anche se la platea è quella del più vantaggioso sistema previdenziale misto.
Per questa ragione, la quota 103 nel 2024 è stata un'opzione in più di pensione anticipata, confermata come si chiedeva anche politicamente un anno fa nella Manovra del 2024, ma che alla fine è stata scelta da pochi neo-pensionati durante il corso di quest'anno.
Secondo gli ultimi dati a disposizione, per la quota 103 nel 2024 erano stati messi a Bilancio 149 milioni di euro, considerando anche i tagli sulla misura derivanti dall'allungamento delle finestre mobili (da tre a sette mesi per i lavoratori del settore privato e da sei a nove mesi per i lavoratori dei comparti pubblici), il ricalcolo contributivo e i nuovi tetti di pensione mensile fino alla maturazione della vecchiaia.
Il risultato è stato da un certo punto di vista "disastroso" per le domande di uscita pervenute. Se ne stimavano 17mila per tutto l'anno, ma fino all'estate ne sono arrivate circa 7.000 e si può sperare in 10.000 fino alla fine dell'anno. Domande delle quali, di media, una su cinque rischia di essere respinta dall'Inps per mancanza di requisiti.
La scarsa attrattività della misura genererà risparmi per le casse dello Stato che potrebbe, dunque, riproporre la misura il prossimo anno. L'età di 62 anni, il ricalcolo contributivo e gli altri vincoli rappresenterebbero quindi già una sorta di quota 41, ma non accessibile a tutti, liberamente e senza vincoli - tra i quali l'età - come si chiede da alcuni anni a questa parte la platea dei lavoratori precoci.
Di certo, pur introducendo la quota 41 nel 2025, dovrà trattarsi di una misura "light" che preveda il ricalcolo contributivo. Il costo stimato per una misura di questo tipo si aggira tra i 600 milioni e il miliardo di euro. Probabilmente troppi per il governo che ha intenzione di investire maggiormente sul taglio del cuneo fiscale e sugli stipendi dei dipendenti pubblici.