12 Sep, 2024 - 11:30

"Campo di Battaglia": ritorno al cinema per il regista Gianni Amelio

"Campo di Battaglia": ritorno al cinema per il regista Gianni Amelio

Lo scorso 31 agosto il regista Gianni Amelio ha presentato all’81ª Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia il suo nuovo film intitolato "Campo di Battaglia", candidato al Leone D'Oro. Liberamente ispirato al romanzo del 2018 "La Sfida" dello scrittore Carlo Patriarca, troviamo Alessandro Borghi, Gabriel Montesi e Federica Rosellini nel ruolo dei protagonisti.

"Campo di Battaglia", recensione

Sono passati già tre anni dall’inizio della Prima Guerra Mondiale e l’Italia, come tanti altri Stati martoriati dai bombardamenti, non sembra più essere la stessa. È l’inizio del 1918 e un gelido inverno cala impietoso su una Udine ghiacciata. Proprio qui sorge un ospedale militare che offre asilo ai soldati feriti: su un centinaio di letti dai materassi scomodi giacciono uomini bisognosi di cure. Decine di corpi mutilati riposano esausti dopo aver forzatamente combattuto in una battaglia inutile quanto ingiusta; chi miracolosamente non è in fin di vita è già molto se ha perso soltanto un arto, o un occhio, o magari l’udito. A guardarli dormire sembrano quasi senza vita e tutti lì, insieme, l’uno di fianco all’altro appaiono come una mattanza, come una moltitudine di pesci sanguinanti in una rete da pesca.

A capo di questa clinica, dove la speranza tristemente va a morire, c’è l’ufficiale medico Stefano Zorzi (Gabriel Montesi). Stefano è un uomo ancora giovane, ma la sua vitalità è soffocata da un temperamento rigido e ligio al dovere. Pare non possegga alcuna umanità, come se fosse incapace di provare empatia dinnanzi a qualcuno che soffre. Proviene da una famiglia altolocata, che lo vedrebbe bene a lavorare in politica, dove non c’è spazio per i sentimentalismi. È cresciuto in un ambiente in cui le emozioni vengono ritenute frivolezze e ogni genere di rapporto nasce da un premeditato calcolo di un qualche possibile ritorno di crescita personale, in fatto economico o di livello sociale. Forse proprio a causa di ciò quei poveri disgraziati per lui non sono altro che soldatini di piombo da riparare e rimandare al fronte, per continuare ad essere sfruttati per il loro unico motivo utile: prestare servizio in guerra.

Ma a tenere in armonia gli equilibri c’è un altro medico che lavora in quell’ospedale disastrato: il dottor Giulio Farrasi (Alessandro Borghi). Quest’ultimo, coetaneo di Stefano, è una persona con un animo gonfio d’amore per il prossimo. Non sopporta la vista del sangue, della sofferenza, della morte. Avrebbe piuttosto voluto diventare biologo, lavorando come ricercatore, scoprendo cure che avrebbero potuto salvare vite da mali misteriosi quanto incurabili. Suo malgrado, invece, gli è toccato questo e sentendosi impotente dinnanzi a un dolore che lo ferisce al punto da lacerargli il costato, ha trovato un modo per rendersi davvero utile; di notte, quando Stefano non può accorgersene, si fa portare di nascosto i pazienti e si offre di mutilarli in maniera sufficientemente invalidante da non poter più essere rimandati in battaglia.

Stefano e Giulio sono amici d’infanzia, sono cresciuti insieme quasi come fratelli. Hanno studiato fianco a fianco all’Università e ognuno conosce le debolezze caratteriali dell’altro. Proprio per questo il patriottismo cieco di Stefano non potrebbe mai accettare un tradimento simile alla sua Nazione. Ad aumentare un grave rischio per il loro rapporto fraterno subentrerà Anna (Federica Rosellini), ex compagna di facoltà di entrambi che non ha potuto terminare il percorso di studi esclusivamente perché in quegli anni alle donne non veniva concesso di laurearsi in medicina. Inizierà a lavorare insieme ad ambedue come infermiera volontaria per la Croce Rossa, risvegliando in se stessa vecchi risentimenti per il suo talento illecitamente sprecato e una competitività amorosa tra i due amici sempre più vicini al tracollo del loro legame. Con l’arrivo dell’influenza Spagnola si presenterà l’occasione per Stefano di mostrare fino a che punto può arrivare la sua totale assenza di morale, anche dinnanzi a un profondo affetto durato praticamente per tutta la sua esistenza.

"Campo di Battaglia", critica

Ritorno al cinema per il regista settantanovenne Gianni Amelio che, a soli due anni dall’uscita de Il Signore delle Formiche, presenta Campo di Battaglia. Liberamente ispirato al romanzo La Sfida dello scrittore Carlo Patriarca, pubblicato nel 2018, questo film è ambientato nel 1918, in Friuli, durante l’ultimo anno della Prima Guerra Mondiale e agli inizi dell’insorgere dell’influenza Spagnola. I tre protagonisti, interpretati da Alessandro Borghi, Gabriel Montesi e Francesca Rosellini, pur rappresentando il più classico dei triangoli amorosi, tra competizione e acredine, in realtà affrontano dei processi emotivi ben diversi dalla semplice rivalità in amore. In questa narrazione drammatica si parla di etica, di morale, di patriottismo, di umanità, di quanto il concetto di giusto e sbagliato nella vita pratica, in situazioni di necessità, assuma delle sfumature ben diverse dai confini netti ai quali siamo abituati.
Il film è stato presentato in anteprima all’81ª Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia, lo scorso 31 agosto, ed è uscito nelle principali sale italiane il 5 settembre.

Per quanto abbia molto apprezzato le interpretazioni dei soldati che singolarmente narravano la propria storia e il fatto che questo sia un film che non parla di guerra ma delle ripercussioni che quest’ultima ha sulla vita delle persone, non ho percepito fino in fondo il cuore della vicenda. Non credo, personalmente, che sia un problema attribuibile alle prove attoriali quanto alla regia in sé. Amelio ha voluto raccontare un lasso di tempo breve, ma fortemente critico a livello globale, volendo unire due momenti storici che hanno letteralmente piegato l’umanità intera. Forse è questo il limite di Campo di Battaglia: esporre tutto troppo in fretta, senza soffermarsi realmente sullo sviluppo emotivo del fulcro della trama. Proprio per questo, nonostante l’intero lungometraggio duri quasi due ore, mi è arrivato soltanto a metà. Peccato, si poteva fare di più. Sono però molto lieta di vedere che Gabriel Montesi continui a crescere artisticamente. Spero per lui in una lunga carriera di grande successo.
Tre virgola due stelle su cinque.

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Marta Micales
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