Alzi la mano chi non ha mai ricevuto una email o un messaggio WhatsApp fuori dall'orario di lavoro e non ha pensato che il proprio smartphone sia (anche) una condanna a stare sempre, costantemente, con la testa sul lavoro. Da dopo la pandemia, con lo sviluppo dello smart working, questa sensazione è sempre più diffusa. Tanto che il Partito Democratico ha avanzato una proposta di legge con la quale vuole porre un freno all'invasione delle cose di lavoro nel tempo libero. Tag24.it ne ha parlato con il primo firmatario, il deputato Arturo Scotto.
Davanti all'invasione nella vita privata di email e messaggi WhatsApp afferenti al lavoro, il Pd ha pensato di proporre una legge per vietarli. La battaglia che ha intrapreso il partito di Elly Schlein è quella di conquistare per i lavoratori il diritto alla disconnessione: il diritto di stare lontano dai propri dispositivi, di non controllare le email, di non vedere continuamente le notifiche di WhatsApp o di qualsiasi altra piattaforma al di fuori dell'orario lavorativo. Insomma: di godersi in pieno il proprio tempo libero.
Nello specifico, nella proposta di legge c'è scritto che il diritto alla disconnessione significa non dover essere costantemente reperibile fuori dall’orario di lavoro e, quindi, avere la libertà di non rispondere alle comunicazioni di lavoro nei turni di riposo non solo dei datori di lavoro e dei propri referenti, ma anche dei colleghi. Questo, naturalmente, senza dover temere alcuna conseguenza.
In ogni caso, la proposta di legge dem prevede anche delle eccezioni: i lavoratori potrebbero dare un'occhiata al telefonino o accendere il computer per delle cose di lavoro se il datore specifica che si tratta di una situazione eccezionale, retribuita come straordinario. Insomma: l'obiettivo è che non si verifichi più la situazione per cui il datore o chi per esso chiede 'un favore' anche al di fuori dell'orario di ufficio. Anche perché, in tal caso, scatta una reazione psicologica da parte del lavoratore (soprattutto precario) che, temendo per il rinnovo del proprio contratto, si sente obbligato a rispondere.
Non è affatto una situazione da sottovalutare: il psicoanalista Umberto Galimberti, ad esempio, da tempo sostiene che la depressione, ai nostri giorni, nel mondo del lavoro basato sull'efficienza e la produttività, si basa sul senso di inadeguatezza. Ogni lavoratore, al di là del contratto che ha, è spinto a raggiungere obiettivi sempre più alti che lo mettono continuamente in competizione anche con i propri colleghi. Da qui, stati di ansia, insonnia, disistima. E la corsa al cellulare (per le cose di lavoro) sempre e comunque, cercando di dimostrare di essere in grado di farcela.
Ma tant'è: per evitare questa deriva, il Pd propone anche che le aziende con più di 15 dipendenti forniscano dei device dedicati esclusivamente alle comunicazioni di lavoro perché si presuppone che se si utilizzano solo quelli personali, l'invasione del lavoro nel tempo libero sia più facile.
Ma chi non rispetta il diritto alla disconnessione cosa rischia? Nella proposta di legge dem si legge: Una sanzione amministrativa pecuniaria da 500 a 3.000 euro per ciascun lavoratore interessato.
Arturo Scotto, capogruppo dem nella commissione Lavoro nonché primo firmatario della proposta di legge sottolinea il fatto che in Italia una normativa specifica per la disconnessione è particolarmente necessaria perché precariato e lavoro nero sono ancora fenomeni molto diffusi:
Ci sono degli studi che in effetti rivelano che la produttività aumenta se una azienda può contare su dipendenti sereni e riposati. Anche per questo Scotto rimarca l'urgenza di prendere in esame la proposta di legge che ha lanciato:
E in effetti: l'Italia, su questo fronte, è già in ritardo. Il primo Paese europeo che ha normato il diritto alla disconnessione è stata la Francia, nel 2017. A seguire, lo hanno fatto la Germania e il Belgio. L'estate scorsa, dando uno sguardo extraeuropeo, anche l'Australia, dove è stato calcolato che i lavoratori, nel 2023, avevano svolto in media ben 281 ore di straordinari non retribuiti: valore monetario, 130 miliardi di dollari australiani.