Il giorno dopo le elezioni negli Usa si prospetta ricco di commenti da parte dei politici italiani. Il 5 novembre 2024 verrà ricordato come il giorno che ha consegnato la seconda presidenza a Donald Trump, smentendo diversi sondaggi che pure davano un margine ristretto di vantaggio alla democratica Kamala Harris.
I partiti italiani che più sentono vicinanza ideologica con il Partito repubblicano statunitense, Lega e Fratelli d'Italia, sono molto contenti per il risultato e non sfuggono a commenti taglienti e sfottò verso le opposizioni italiane, convinte della vittoria di Harris.
C'è il leghista Claudio Borghi, per il quale Trump ha vinto perché la popolazione statunitense è stanca di sentir parlare dell'ideologia woke e non di temi concreti come la politica economica statunitense. Tutti gli Usa sembrano essersi spostati più a destra, con Lucio Malan e Federico Mollicone di FdI convinto che il governo Meloni troverà un partner stretto negli Stati Uniti.
Dal lato opposizioni ci sono Carlo Calenda di Azione e Francesco Silvestri del M5S, che sono concordi nell'immaginare sia per l'Italia che per l'Unione Europea tempi complessi ad ogni livello. Per Calenda serve una maggior compattezza europea per arginare il fenomeno Trump.
Il tratto caratteristico della politica italiana quando ci sono elezioni politiche molto importanti all'estero è di intestarsi parte della vittoria di uno dei due schieramenti o, in caso di risultati dubbi, di leggere la situazione secondo le proprie idee o orientamenti.
Non fanno eccezione le elezioni negli Usa che, ieri 5 novembre 2024, hanno consegnato al repubblicano Donald Trump la presidenza per la seconda volta. Insieme a Grover Cleveland, Trump è il secondo presidente a servire gli Stati Uniti per due mandati non consecutivi: ma questo dato non interessa tanti ai politici nostrani, che si dividono fra chi è contento per questi risultati e chi paventa anni dure per l'UE e per l'Italia.
Nella prima categoria rientra Claudio Borghi, senatore della Lega. Insieme al leader leghista Matteo Salvini è stato uno dei più vocali nel dichiarare la propria felicità per la vittoria di Trump, seguendo i commenti anche della premier Giorgia Meloni o del presidente del Senato Ignazio La Russa.
Alla base del ragionamento del senatore leghista c'è un refrain che è proprio anche di altri esponenti della destra italiana: Trump ha vinto perché ha parlato al vero paese, al vero popolo statunitense, intercettando le sue ansie e i suoi bisogni più concreti. Per la democratica Kamala Harris ci sono stati i voti soltanto dei vip, che alla fine non hanno spostato con sé anche le persone non famose.
Fra i veri bisogni del popolo statunitense c'è, per Borghi, il rifiuto dell'ideologia woke e di tutto quello che ne consegue:
Le opposizioni sono concordi, come accennato, che si prospettano temi difficili per la politica internazionale, su ogni aspetto: dalla difesa dei diritti civili alla lotta contro il cambiamento climatico, dalle differenze economiche fra il Sud del mondo e i paesi più ricchi fino ai conflitti in Ucraina e a Gaza.
L'idea alla base è che le differenze fra i vari sovranismi, che spesso si presentano anche all'interno dei partiti conservatori europei, si paleseranno non appena ci saranno momenti complessi. Già l'idea del contributo economico dei paesi europei alla NATO potrebbe rappresentare uno scoglio, con in aggiunta l'interesse statunitense di veder dissanguarsi la Russia nel conflitto con Kiev ma senza intaccare le proprie risorse.
Per il senatore di FdI Lucio Malan nessuno di questi timori si realizzerà e, anzi, Italia e Usa manterranno i loro rapporti sulla base di rispetto reciproco e di interesse a lavorare bene insieme.
Anche un altro esponente di FdI, Federico Mollicone, ritiene che la presidenza Trump potrà essere un momento di grande fervore e sostentamento per il gruppo dei Conservatori europei (e per gli stessi meloniani in Italia). La parte più interessante però dell'intervento di Mollicone riguarda però la copertura mediatica della campagna elettorale:
A parlare per le opposizioni, fra gli altri, è stato anche il M5S. Il partito di Giuseppe Conte è stato uno dei primi, insieme a +Europa e AVS, a commentare le ultime elezioni statunitensi, mantenendo però quell'atteggiamento che già in passato era costato diverse critiche ai pentastellati.
Ai tempi del governo con la Lega, il premier Giuseppe Conte sembrava parteggiare per Trump, mentre negli anni la sua posizione è diventata sempre più sfumata fino a diventare non molto chiara. Ci sono stati in passato momenti di imbarazzo anche con il PD, che da parte sua ha espresso vicinanza per i candidati democratici passati alla Casa Bianca.
Su questa linea di pensiero si è mosso Francesco Silvestri, capogruppo a Montecitorio per il M5S. Il deputato cerca di mantenersi equidistante nella contesa fra Harris e Trump, preferendo concentrarsi su uno dei teatri bellici più sanguinosi degli ultimi anni: la guerra a Gaza e le azioni dell'esercito israeliano in quei territori.
Come scritto su X dallo stesso Conte, l'auspicio è che Trump non dia seguito alle sue idee isolazioniste e protezionistiche in campo economico, sociale, militare e diplomatico. Silvestri aggiunge:
Il deputato pentastellato auspica anche che l'Italia si faccia rispettare per i dossier regionali che più le stanno al cuore, come il concetto di "Mediterraneo allargato". L'auspicio è che il paese italiano sia rispettato e diventi un valevole partner politico per gli Usa:
Infine è il turno anche di Carlo Calenda. Il senatore e leader di Azione non è certo contento della vittoria di Trump e prevede che il suo secondo mandato rappresenterà un momento molto complesso e difficile per la politica comunitaria.
Al di là dei proclami bellicosi che il tycoon ha scritto e del quale ha parlato negli ultimi tempi, è difficile capire come si strutturerà il prossimo esecutivo repubblicano. C'è Elon Musk con il suo dipartimento D.O.G.E (acronimo inglese per il Dipartimento dell'Efficienza Governativa), ma anche quelle persone che memori del periodo 2016-2020 vorrebbero una presidenza dura e pura contro i temi più cari ai democratici.
Resta comunque la preoccupazione per i possibili dazi commerciali o il nuovo ruolo degli Usa nella NATO che Trump ha paventato di recente: di questi timori si è fatto portavoce Calenda, che ha giudicato la campagna elettorale del neo presidente statunitense come dettata dalla paura di larghe fasce povere della popolazione locale di rimanere ancora più povere a causa di immigrazione incontrollata o di fattori esterni agli Stati Uniti.
Ed è qui che il leader di Azione chiede agli organi politici europei uno scatto in avanti che permetta loro di tener testa a Trump: