Gelida è la notte fra le strade di una Berlino violenta. Nel buio di una via deserta forte e preciso riecheggia il rumore di un paio di tacchi che si alternano, ad andatura spedita, battendo sull’asfalto come il suono delle lancette di un orologio da parete. Tac, tac, tac. Passo dopo passo, velocemente, una donna rassegnata al suo sconforto si sta dirigendo da qualche parte, ma col terrore di chi ha paura di essere seguito. Quella donna si chiama Klara Vernet (Luise Heyer) e in preda a una sorta di delirio, se pur controllato, ha deciso che quella sarà la sua ultima notte: sta percorrendo, in maniera furtiva, un sentiero che la condurrà alla sua casa di villeggiatura dove nel garage c’è una macchina, ed è lì che vuole suicidarsi. Seduta sul sedile anteriore, dal lato del guidatore, vuole lasciarsi morire intossicata dal gas.
Ma Klara è tutto fuorché pazza, è semplicemente stremata dopo anni di abusi subiti dal marito Martin (Friedrich Mücke), non riuscendo però ad allontanarsene. Hanno una figlia di sei anni di nome Amelie, con la quale lui si comporta come un premuroso ottimo padre devoto. È uno stimato politico e ha già fatto rinchiudere la moglie in una clinica psichiatrica per un presunto disturbo dissociativo. Nonostante le sue grandi mani maschili si siano ripetutamente posate sul volto di lei con ferocia, abbiano afferrato a polso fermo i suoi capelli trascinandola come fosse un sacco, o le abbiano stretto il collo con vigore, avvolgendolo come un collare per le bestie, è sempre riuscito a metterla in cattiva luce finanche con le forze dell’ordine che non l’hanno mai presa sul serio.
E cosa può fare una donna sola se dalla sua parte non ha neanche le istituzioni che dovrebbero proteggerla e tutelarla? Martin in più occasioni l’ha stuprata mortificandola nel suo grembo, proprio nel loro talamo nuziale, dove l’intimità dovrebbe fondersi con la passione, unendo i corpi e le carni calde di due amanti legittimi in un puro atto d’amore. Ma adesso è il sei di dicembre, il giorno del loro anniversario, e giusto quel sabato sera, dopo una cena passata insieme per festeggiare, lui l’ha condotta con l’inganno in un ritrovo per scambisti sadici, l’ha drogata e ha lasciato che un gruppo di sconosciuti in maschera la frustrassero e le strappassero i vestiti mentre era incosciente. Una volta sveglia è riuscita a fuggire via, però adesso per poter tornare libera non le resta che morire.
Klara, per quanto risoluta, è anche spaventata, così decide di chiamare un numero di emergenza rivolto alle donne. A risponderle è un volontario di nome Jules Tannberg (Sabin Tambrea), al quale lei racconta una strana storia: circa un mese prima si è risvegliata in un garage che non aveva mai visto prima. Su un muro, scritto con del sangue, c’era un messaggio che l’avvisava che la sera del sei di dicembre sarebbe morta per mano del famigerato Calendar Killer, a meno che lei non avesse ucciso prima Martin. Per sfuggire all’assassino, o meglio alla scelta di stroncare il marito, preferisce suicidarsi. Riuscirà Jules a farle cambiare idea, salvandole la vita?
Cosa spinge una donna abusata a restare al fianco dell’uomo che la brutalizza? Cos’è che rende sopportabile il dolore lancinante di un piede che con forza ti colpisce il costato? Come può una persona nel pieno delle proprie facoltà mentali osservare allo specchio il suo volto gonfio ed emaciato, devastato dalla crudeltà di un pugno stretto che lo ha colpito reiteratamente, e scegliere di rimanere legata a chi le fa del male? È su questo che il regista venezuelano, trapiantato in Germania, Adolfo J. Kolmerer ci invita a riflettere, analizzando le dinamiche di coppia all’interno delle unioni caratterizzate da violenza domestica, nel suo nuovo lungometraggio “The Calendar Killer”.
Tratto dal romanzo thriller “Portami a Casa” (2024) dello stimato scrittore tedesco Sebastian Fitzek e basato sulla sceneggiatura di Susanne Schneider, il film è stato distribuito in Italia a partire dal 16 gennaio scorso sulla piattaforma di streaming Amazon Prime Video. Se in un primo momento potrebbe sembrare la solita trama dell’orrore, che ruota intorno alla fuga di una donna da un serial killer determinato a ucciderla, più la storia si sviluppa e più ci rendiamo conto che il cuore della vicenda si trova nell’analisi di un matrimonio che, se pur esausto, continua a perdurare malgrado i ripetuti abusi. Donne che rimango legate a uomini violenti perché non hanno un altro posto dove andare, perché non hanno più la famiglia, perché non sanno a chi chiedere aiuto, perché non vengono prese in seria considerazione dalla polizia e dal sistema giudiziario. Questi sono solo alcuni esempi delle tante, tristissime, motivazioni che tiene molte compagne legate a doppio nodo ai loro aguzzini spesso, purtroppo, fino alla tomba.
Kolmerer, regista pluripremiato noto in Germania principalmente per spot pubblicitari, serie tv e video musicali, ci parla esattamente di tutto ciò, mostrandoci come spesso una vittima diventi in qualche modo complice della stessa mano che la conduce dritta alla morte, a causa del contesto culturale nel quale cresciamo, ancora troppo indietro per consentirci di dare un taglio netto a determinate dinamiche. In un’altra recensione ho letto che secondo il critico “The Calendar Killer” mancherebbe di ritmo, ma io invece trovo che possegga molta azione e suspense. Il limite di questa pellicola risiede nella poca plausibilità di alcuni dettagli, che non posso però svelarvi per non fare spoiler. Ciò nonostante ve ne consiglio comunque la visione per una serata ad alta tensione sul divano di casa. Siete pronti a scoprire chi è l’assassino e se Klara sarà in grado di allontanarsi per sempre dal marito Martin? Tre virgola due stelle su cinque. Buona caccia a tutti!