11 Apr, 2025 - 11:05

"Muori di Lei": secondo lungometraggio alla regia per Stefano Sardo

"Muori di Lei": secondo lungometraggio alla regia per Stefano Sardo

 

"Muori di lei", recensione

In un condominio prestigioso nel cuore del centro storico di Roma un giovane insegnante convive con la moglie, che lavora come medico nella sanità pubblica della capitale. Luca (Riccardo Scamarcio) e Sara (Maria Chiara Giannetta) stanno cercando di avere un figlio, malgrado lei soffra della sindrome dell’ovaio policistico che riduce di molto le possibilità di rimanere incinta. Proprio per questo si sono rivolti all’insopportabile padre di lei Antonello (Paolo Pierobon), ginecologo, che da anni gestisce una clinica privata per la fecondazione assistita.

Ma è marzo del 2020 e mentre loro hanno appena iniziato ad avviare le pratiche necessarie nel mondo si sta diffondendo a macchia d’olio una pandemia. Un lockdown forzato costringerà tutta la popolazione a starsene chiusa in casa, fatta eccezione per gli infermieri e i medici come Sara che dovranno lavorare fianco a fianco, strenuamente, negli ospedali, cercando di salvare più vite possibili. Luca, docente di filosofia alle superiori, nel frattempo si ritroverà per la prima volta a sperimentare la didattica a distanza. Inoltre nel palazzo in cui vive la coppia sembrano essere gli unici due inquilini fissi, perché tutti gli altri appartamenti sono destinati al solo uso d’ufficio. Luca passerà così ore interminabili chiuso in casa, in uno stabile vuoto, ad attendere che Sara faccia rientro dai lunghissimi turni al cardiopalma in reparti pieni di gente in fin di vita.

Ma c’è un però: l’unica altra abitazione occupata è giusto quella di fianco alla loro. Un B&B affittato a una giovane cubana di nome Amanda (Mariela Garriga), rimasta bloccata a causa dell’improvviso inizio della quarantena. Amanda, bellissima donna intrigante e seduttrice intraprendete, farà breccia nel cuore di Luca dando inizio a una relazione clandestina, vissuta quasi alla luce del sole, in assenza di Sara. Amanda però nasconde un segreto inconfessabile…

"Muori di lei", critica

Riuscite a rimembrare quando, a inizio marzo del 2020, l’allora Presidente del Consiglio Conte, durante una diretta tv nazionale, comunicò a tutta Italia che da quel momento avrebbe avuto inizio una quarantena forzata per scongiurare i contagi da Covid? Perché da un paio d’anni a livello mondiale sembra che tutti evitiamo accuratamente di menzionare quello che ha rappresentato uno dei momenti più bui e scioccanti dei giorni nostri, quasi lo avessimo voluto rimuovere dalla memoria collettiva, come si cancellava parte dei ricordi in “Men in Black” (1997) col neuralizzatore. Uno dei pochi a portare il trauma del lockdown sul grande schermo, se pur in maniera lieve e soave, accennando appena all’argomento è stato Manfredi Lucibello nel 2024 con “Non Riattaccare” (anche se la pellicola in realtà è stata presentata in anteprima a fine 2023 al Torino Film Festival), con Barbara Ronchi e Claudio Santamaria nei ruoli principali. Ma lì il focus centrale della vicenda, in realtà, risiedeva nel viaggio disperato della protagonista Irene per salvare l’ex compagno Pietro da un tentativo di suicidio, scappando furtivamente dalla quarantena.

Chi invece ha voluto ricordare il lockdown, rendendolo parte integrante della trama, è lo sceneggiatore, musicista e regista Stefano Sardo nel suo secondo lungometraggio intitolato “Muori di Lei”, con Riccardo Scamarcio nella parte del protagonista Luca. Sardo, che di questo film ha scritto anche la sceneggiatura con l’aiuto dello scrittore Giacomo Bendotti, all’apparenza sembrava voler affrontare l’argomento a viso aperto con coraggio. C’è riuscito? Assolutamente no. Mi spiace dover dire che sin dall’inizio di questa commediola romantica da strapazzo la pandemia viene rappresentata in modo frivolo, non mostrando la reale dimensione che ha avuto. Comprendo che l’intento della narrazione era quello di rimanere nella commedia in leggerezza, anziché sprofondare nel dramma, ma per tutta la durata dello spettacolo mi sono sentita quasi offesa dal modo banale e superficiale di raccontare il Covid. I due personaggi principali è come se vivessero dentro una bolla sospesa in un’aria dolce e stucchevole, dove le uniche comparse sono tre tizi che fanno squat sui tetti dei palazzi di fronte al loro. Anche la moglie Sara, che dovrebbe fare da anello di congiunzione tra la disperazione vissuta nel mondo al di fuori di quel condominio e la pace sospesa di uno stabile deserto, non è una figura poi così incisiva nel rendere palpabile il dolore e il terrore che porta con sé un’epidemia globale di polmonite fulminante.

Un altro aspetto non pervenuto è il senso di colpa che dovrebbe provare Luca nei confronti della consorte che, mentre lui gioca a fare il piccioncino con l’altra donna in uno splendido palazzo nel centro storico di una Roma mai così bella, rischia la vita per salvare quella degli altri. Nulla, è come se stesse vivendo una vacanza spensierata, giocando a fare l’adolescente, tra un coito, un bicchiere di vino e una canna. Però con l’entrata dell’antagonista Cosimo, ex compagno violento dell’amante, si cerca addirittura di far passare Luca per una sorta di eroe premuroso. Un delirio fallocentrico che solo un uomo poteva scrivere. In una sorta di ego te absolvo a peccatis tuis, con un’indulgenza plenaria da far impallidire, non c’è neanche un vago sentore di rimorso, come se tutto fosse già stato confessato e perdonato dal Signore Dio nostro.

Però il finale, per quanto già visto, è comunque divertente e potenzialmente accattivante. Il vero limite di questo film risiede soprattutto nella recitazione forzata e un po’ sdentata della voce fuori campo di Scamarcio mentre ci rende partecipe dei suoi pensieri, nei dialoghi piuttosto banali e in una serie di cliché triti e ritriti attribuiti alle figure maschili e femminili e ai rapporti di coppia fra uomo e donna. Nell’insieme è guardabile e appena godibile in una serata dove proprio non c’è altro da fare. Due virgola nove stelle su cinque. 

 

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Marta Micales
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