14 Apr, 2025 - 12:35

Tredici anni dalla morte di Piermario Morosini: grazie a lui salvate numerose vite

Tredici anni dalla morte di Piermario Morosini: grazie a lui salvate numerose vite

Sono passati tredici anni da quel tragico 14 aprile 2012, quando Piermario Morosini, centrocampista del Livorno, si accasciò in campo durante la partita contro il Pescara, colpito da un malore improvviso che non gli lasciò scampo. Aveva solo 25 anni. Da allora, il mondo dello sport ha vissuto numerosi episodi simili: atleti, spesso giovanissimi e in apparenza sani, colpiti da arresti cardiaci nel pieno di una gara. Alcuni, come Morosini o Davide Astori, non ce l’hanno fatta.

Ma fortunatamente, sempre più spesso oggi questi episodi si concludono con un lieto fine: è il caso di Christian Eriksen, salvato in extremis con un defibrillatore durante gli Europei del 2021, o più recentemente di Edoardo Bove, che ha accusato un malore in allenamento ma ha ricevuto cure tempestive. Dietro questi eventi c'è spesso una malattia subdola, difficile da diagnosticare con i metodi tradizionali, ma che oggi la medicina è finalmente in grado di individuare con maggiore precisione.

Di cosa soffriva Morosini?

A portare via Piermario Morosini fu una patologia rara e insidiosa: la cardiomiopatia aritmogena, una malattia ereditaria che colpisce il muscolo cardiaco e può causare aritmie mortali. Nonostante le visite mediche di routine, questa patologia spesso sfugge ai controlli standard, presentandosi in modo silenzioso fino al momento più drammatico.

È proprio da quella tragedia, e da quella di Davide Astori nel 2018, che è partita una nuova fase di studio e ricerca. La svolta è arrivata grazie alla risonanza magnetica cardiaca con mezzo di contrasto, oggi l’unico esame in grado di diagnosticare precocemente la cardiomiopatia aritmogena, rivelando le anomalie invisibili ad altri strumenti diagnostici. Un risultato straordinario, se consideriamo che solo fino a qualche anno fa la morte di questi e altri atleti era considerata un mistero, a cui la scienza non sapeva dare una risposta concreta.

I nuovi strumenti che salvano la vita grazie al caso Morosini

Negli anni successivi alla morte di Morosini, sono stati numerosi i casi di giocatori colpiti da malore in campo. Il più emblematico è certamente quello di Christian Eriksen, centrocampista danese crollato a terra durante una partita degli Europei nel 2021. Solo la tempestività dell’intervento medico e la presenza di un defibrillatore hanno evitato il peggio.

Da quel momento, il mondo dello sport ha accelerato sulla sicurezza: defibrillatori obbligatori a bordo campo, personale formato per gli interventi d’emergenza e controlli sempre più accurati sui giocatori. Anche in Italia non mancano esempi recenti: Edoardo Bove della Roma, colpito da un improvviso malore durante un allenamento, è stato subito soccorso e ora sta bene.

Questi episodi confermano quanto la prontezza e la tecnologia possano fare la differenza tra la vita e la morte. Inoltre, grazie ai numerosi studi effettuati nel corso degli anni, oggi si tende a utilizzare la risonanza cardiaca con mezzo di contrasto anche nei protocolli di screening degli atleti professionisti, nella speranza di prevenire anziché intervenire.

Una battaglia che continua

Le morti di Piermario Morosini e Davide Astori hanno segnato un punto di non ritorno per il calcio italiano e per lo sport in generale. Se oggi molti casi simili si concludono con un lieto fine, è grazie alla ricerca scientifica, all’innovazione tecnologica e alla determinazione di medici che hanno trasformato il dolore in progresso. La strada è ancora lunga, ma i risultati ottenuti in questi tredici anni dimostrano che si può fare molto per prevenire le tragedie. La cardiomiopatia aritmogena resta una minaccia silenziosa, ma oggi non è più invisibile.

La chiave è la prevenzione, un controllo più avanzato e consapevole che può salvare vite. Perché ogni partita, ogni allenamento, ogni respiro degli atleti in campo deve essere protetto con ogni mezzo possibile.

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Luca Liaci
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