16 Apr, 2025 - 11:05

"Nonostante": Valerio Mastandrea dedica il suo secondo film da regista al padre Alberto

"Nonostante": Valerio Mastandrea dedica il suo secondo film da regista al padre Alberto

 

"Nonostante", critica

Capita spesso che gli esseri umani si chiedano cosa ci sia dopo la morte. La possibilità di una vita ultraterrena è un pensiero su cui ci indaghiamo sin dalla preistoria, come se sentissimo la necessità di conservare la speranza che in qualche maniera continueremo a esistere per l’eternità. Ma una cosa sulla quale raramente ci poniamo delle domande è in che dimensione andiamo a finire quando entriamo in uno stato di incoscienza prolungata. Un po’ come se dessimo per scontato che finché il corpo continua a essere in vita anche la cognizione di sé gli rimanga attaccata. È un’illusione alla quale ci aggrappiamo disperatamente pure in quei casi dove il cervello di un nostro caro non risponde più e sarebbe auspicabile staccare le macchine perché ormai non c’è proprio null’altro da fare. Il coma, che sia esso spontaneo o indotto, viene reputato una specie di sonno profondo, ma non è così. La mente si smarrisce chissà dove ed è di questo che ha voluto parlare Valerio Mastandrea, formulando un’ipotesi divertente, nel suo secondo lungometraggio da regista, intitolato “Nonostante”.

 Scritto da lui stesso insieme alla collaborazione del collega Enrico Audenino, il film è dedicato al padre Alberto Mastandrea, scomparso nel 2023. Il protagonista, interpretato da Valerio Mastandrea, è un paziente in coma ricoverato presso il centro di rianimazione di un ospedale della capitale. Ma in quel reparto avviene qualcosa di magico: la coscienza di tutti i pazienti in ricovero aleggia al di fuori dei loro corpi, con la capacità di interagire fra loro e di spostarsi ovunque vogliano. Ma la presenza di una nuova arrivata, con l’attrice argentina Dolores Fonzi a vestirne i panni, sconvolgerà l’ordinarietà piatta e sempre uguale del personaggio principale che se ne innamorerà quasi subito. Lei, invece, se pur attratta in qualche modo da lui, inizialmente sarà scontrosa e verbalmente aggressiva come se volesse difendersi, proteggersi da tutto quel che le sta accadendo e nel tentativo di porre una distanza fra lei e gli altri. Nel cast troviamo anche Laura Morante, Lino Musella, Barbara Ronchi e Giorgio Montanini. La recitazione di tutti gli attori è di livello, il che rende ancor più gradevole quella che apparentemente sembra una commedia, ma che nasconde una drammaticità che si svela piano piano per poi pugnalarti senza pietà alla fine.

La delicatezza d’altri tempi di questa storia d’amore è commovente: non ci sono scene di sesso spinto, di nudo integrale, di quella curiosa morbosità che definisce lo spettatore di oggi, sempre più affamato di immagini pornografiche ed esplicite. La regia di Mastandrea esalta al massimo la bellezza naturale e gli occhioni splendidi e tristi di Dolores Fonzi, che risulta magnetica al punto da non riuscire a smettere di osservarla con ammirazione. Ne disegna il ritratto di una donna dall’animo fragile e bisognoso d’affetto celato dietro un carattere forte e peperino. Il lungo abito rosso aragosta indossato dalla coprotagonista per tutta la durata della pellicola irrompe metaforicamente in quell’ospedale, dove disillusione e speranza si mescolano, generando una quotidianità surreale, sia per i pazienti dormienti che per i loro familiari, scoppiando come un petardo a “risvegliare” gli animi annoiati dei suoi compagni di reparto. L’eleganza di quel vestito viene però sdrammatizzata da una felpa girocollo color tortora, un maglione a righe e un paio di stivaletti marroni col tacco basso, proprio a sottolinearne il carattere indomabile e ribelle di chi nella vita ha sempre fatto come gli pare.

Come nel brano “Mi Sono Innamorato di Te” scritto da Tenco nel 1962, anche in questo film l’amore esplode magnifico nella noia esistenziale, scombussolando una routine grigia, divenendo rapidamente una dipendenza perché unica fonte di gioia nella disperazione. Ho apprezzato molto la grazia con la quale si contraddistingue tutta la narrazione, soprattutto il racconto soave della morte rappresentata come un vento impetuoso che ti trascina via. L’amore romantico, dopotutto, che ci piaccia o no, spesso si rivela la più grande salvezza. Delicato, ma comunque incisivo, tre virgola nove stelle su cinque. 

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Marta Micales
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