Sono passati 33 anni: il 20 maggio 1992, lo stadio di Wembley fece da cornice a una finale epocale, quella tra Barcellona e Sampdoria, due squadre che, fino a quel momento, non avevano mai vinto la Coppa dei Campioni e cercavano la cosiddetta "primera". Era la trentasettesima edizione del torneo, l’ultima con la denominazione storica, prima della trasformazione in Champions League.
La Sampdoria di Vujadin Boškov arrivava all’appuntamento dopo un’annata da sogno. Campione d’Italia in carica, la formazione blucerchiata poteva contare su una rosa di assoluto valore, costruita con intelligenza e talento. A guidare l’attacco c’erano i leggendari “gemelli del gol”, Gianluca Vialli e Roberto Mancini, una coppia affiatata che incarnava il gioco elegante e incisivo dei liguri. Non era una meteora, ma una vera corazzata.
Dall’altra parte, il Barcellona di Johan Cruijff aveva già conquistato la Liga e schierava campioni del calibro di Hristo Stoichkov, Michael Laudrup, Ronald Koeman e un giovane Pep Guardiola. Due squadre diverse per stile e storia, ma accomunate da un destino: giocarsi tutto in una notte, per scrivere la pagina più importante del proprio passato.
Il finale non potè che lasciare l'amaro in bocca ai tifosi blucerchiati: alla fine di quella lunga notte inglese, fu il Barcellona a sollevare il trofeo, grazie a un gol di Ronald Koeman nei tempi supplementari. La Sampdoria, dopo una cavalcata straordinaria in Italia e in Europa, fu costretta a fermarsi a un passo dalla gloria. Una ferita profonda, che ancora oggi segna il ricordo dei tifosi di Genova.
La sconfitta fu tanto dolorosa perché inaspettata, nonostante l’indubbio valore degli avversari. La squadra di Boškov aveva dato tutto, ma proprio sul più bello era mancata la zampata decisiva. L’Europa, quella sera, vide la nascita del “Dream Team” catalano, ma da Genova partì un lamento che sarebbe riecheggiato a lungo: una stagione perfetta, sporcata da un’unica, tremenda macchia.
I blucerchiati, visibilmente frustrati, si rifiutarono persino di presentarsi in conferenza stampa, convinti che l’arbitraggio del tedesco Aron Schmidhuber avesse penalizzato la loro prestazione. Quel malcontento non cancellò tuttavia la stima e l’affetto dei tifosi, ma rese ancora più amara una notte che avrebbe potuto cambiare la storia del club per sempre.
La partita fu intensa e ben giocata da entrambe le squadre. Il Barcellona mantenne maggiormente il controllo del gioco, imponendo il suo possesso palla, mentre la Sampdoria cercava di colpire con rapide verticalizzazioni e lanci lunghi per le punte. Il ritmo fu alto, con occasioni su entrambi i fronti e prestazioni notevoli da parte dei portieri: Gianluca Pagliuca, straordinario tra i pali, e Andoni Zubizarreta, sempre attento.
Il tempo regolamentare si chiuse sullo 0-0, con Vialli che, in una delle sue serate meno fortunate, fallì due occasioni d’oro. La tensione salì nei supplementari, finché a nove minuti dalla fine fu assegnato al Barcellona un calcio di punizione dal limite. Ronald Koeman si incaricò della battuta e con un destro potente trafisse Pagliuca, regalando ai catalani il loro primo trionfo europeo. Al fischio finale, i blaugrana si tolsero la maglia arancione da trasferta per indossare quella storica, blaugrana, davanti ai fotografi. I blucerchiati, invece, lasciarono il campo in silenzio.
La finale di Wembley 1992 rimane una delle partite più emblematiche della storia del calcio europeo. Non solo perché segnò l’inizio dell’era moderna della Champions League, ma anche perché fu l’ultima, grande occasione per una squadra italiana “di provincia” di vincere il trofeo più prestigioso del continente.
Per il Barcellona fu l’alba di un’epoca, per la Sampdoria l’inizio del rimpianto. Eppure, quella squadra resta impressa nella memoria collettiva come una delle più belle, coraggiose e brillanti che il calcio italiano abbia mai espresso. Vialli, Mancini, Lombardo, Vierchowod, Pagliuca: uomini prima che campioni, protagonisti di un’avventura che ha sfiorato la leggenda.