21 May, 2025 - 10:05

Giuseppe Delmonte, orfano di femminicidio: "Il vuoto e la rinascita. Oggi lotto in nome di mia madre"

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Giuseppe Delmonte, orfano di femminicidio: "Il vuoto e la rinascita. Oggi lotto in nome di mia madre"

Giuseppe Delmonte è un orfano di femminicidio: “un sopravvissuto”. Oggi ha 47 anni: ne aveva 19 quando sua madre Olga Granà venne uccisa da suo padre Salvatore ad Albizzate, in provincia di Varese. 

Lui l’aggredì con un’ascia, colpendola sette volte. Era il 26 luglio 1997: erano trascorsi cinque anni dalla separazione, c’erano state varie denunce, ma nessuno era intervenuto.

“Signora, cosa ha fatto a suo marito per essere ridotta in questo stato?”, fu il commento di un brigadiere dei carabinieri alla vista del suo volto sfigurato. Frasi che oggi fanno rabbrividire. 

La storia di Giuseppe Delmonte, orfano di femminicidio: la madre Olga uccisa nel 1997

Olga, che aveva 51 anni, quel giorno era uscita per la prima volta da sola: doveva ritirare in Posta un vaglia inviato proprio dal suo ex marito. Aveva insistito per non portare con sé sua figlia che desiderava accompagnarla. Salvatore, infatti, aveva promesso di uccidere anche i tre figli. Trovò solo lei.

Giuseppe racconta la sua storia senza nascondere la commozione. In questi 28 anni ha affrontato un lungo percorso di psicoterapia per riuscire ad affrontare il dolore e la brutalità di quello che gli è successo.

Suo padre oggi ha 79 anni. L’ha incontrato una sola volta in carcere, dove sta scontando una condanna all’ergastolo: ha deciso di chiudere per sempre quella porta, dopo aver capito che non era cambiato.

L'incontro con il padre in carcere

“Quando sono andato in carcere gli ho detto tutto quello che pensavo di lui. Non se lo aspettava. Ha cercato di giustificarsi, dicendo che quando aveva ammazzato mia madre era sotto l’effetto di psicofarmaci, anche se le indagini avevano dimostrato che non era vero. Dava a lei la colpa” racconta Giuseppe.

Sono trascorsi sei anni da allora. Un momento di crisi l’ha avuto lo scorso ottobre, quando gli è stato comunicato che suo padre era in gravi condizioni di salute e che stava per morire.

“Sono scoppiato a piangere. Mi sono chiesto se dovessi tornare a trovarlo. Poi ho scoperto altre cose su di lui”. Giuseppe, infatti, sta partecipando alla realizzazione di una docuserie su sua madre e ha assistito alle interviste di alcune sue amiche. 

“Ho fatto finta di sapere di cosa parlassero, ma non era vero. Mia madre si era confidata con loro su cosa mio padre la costringesse a fare. Eventi agghiaccianti, che aveva dovuto subire in silenzio. E sono riaffiorati i ricordi: ho dato un senso a tutte le  volte in cui lui ci chiudeva a chiave in camera, a tutti questi personaggi che vagavano per casa. Siamo cresciuti con l’accoglienza come valore, perché lui portava a casa sconosciuti, offriva loro un pasto caldo. Oggi ho capito che lo faceva con un secondo fine, per assecondare le sue perversioni”.

In questi anni Giuseppe ha trovato il modo di realizzarsi sul lavoro, nonostante - come spesso racconta - il padre gli avesse strappato via il sogno di diventare chirurgo.

“Con mia madre avevo progettato tutto: avrei fatto il militare e poi mi sarei iscritto a Medicina. Sapevo però che non avrebbe potuto pagarmi l’università, quindi avrei iniziato come infermiere e poi studiato anche grazie a delle borse di studio. Quando lei è stata uccisa, io non ce l’ho più fatta a sostenere un percorso del genere. Oggi, però, sono strumentista di sala operatoria e lavoro con i migliori professori universitari di Milano”.

I parenti ritrovati

Il desiderio di affrontare i punti oscuri del suo passato, nel tentativo di ricostruire la propria vita, ha spinto Giuseppe a riprendere i contatti con la famiglia di suo padre, che vive in Sicilia.

“Da piccoli andavamo a trovare i nonni e gli zii, poi all’improvviso lui non ci mandò più. Aveva sempre tracciato un quadro demoniaco della sua famiglia: diceva che da bambino lo avevano trattato male, facendogli anche patire la fame. Noi a volte giustificavamo i suoi comportamenti proprio con questo passato difficile” sottolinea Giuseppe.

“Invece, sei anni fa, ho deciso di andare in Sicilia per rivedere le mie zie e i miei cugini, che sento ancora oggi. E il castello di bugie è crollato: a loro raccontava che eravamo noi figli e sua moglie a rifiutarci di vederli”.

Giuseppe pensa che suo padre Salvatore volesse tenerli lontani per evitare che potessero raccontare le violenze che subivano in casa, chiedendo aiuto. 

“Quando ho saputo ciò a cui costringeva mia madre, ho chiamato mia cugina per raccontarle tutto e farle sapere chi fosse davvero. Lei, allora, mi ha rivelato un’altra verità rimasta celata per anni e che non avevano mai avuto il coraggio di riferirmi. Negli anni di separazione, con i suoi familiari sosteneva fosse mia madre a maltrattarlo. E quando loro gli chiedevano perché continuasse a sperare che tornassero insieme, rispondeva che Olga ‘era pur sempre la madre dei suoi figli’. Questa era la sua scusa. Aveva creato una realtà parallela”.

La legge sugli orfani di femminicidio

Sono trascorsi 28 anni dal femminicidio di Olga Sgranà. All’epoca gli orfani di femminicidio erano invisibili. Oggi, nonostante l’Italia sia tra i primi Paesi in Europa ad aver approvato una legge che li tuteli - la 4 del 2018-  c’è ancora molto da fare. 

Un argomento molto a cuore a Giuseppe Delmonte, che ha incontrato più volte Martina Semenzato, Presidente della Commissione parlamentare di inchiesta sul femminicidio, e ha partecipato anche a un tavolo tecnico in Regione Lombardia. 

“La legge in vigore non agisce nell’immediatezza del reato. Ad esempio, prevede il sequestro dei beni per un eventuale risarcimento e la possibilità che il bambino possa cambiare il cognome. Ma non sono queste le priorità di chi ha appena perso la madre perché ammazzata dal padre. Inoltre i 300 euro al mese, indennità prevista per il mantenimento dell’orfano di femminicidio, si ottengono solo se si fa domanda e in molti neanche ne sono a conoscenza” sottolinea Delmonte.

C’è poi un altro punto da considerare. “Per la legge l’importante, dopo un femminicidio, è trovare una collocazione al minore, che sia un parente o un vicino di casa. Invece la prima cosa che dovrebbe fornire lo Stato è un sostegno psicologico".

Spesso gli orfani vengono affidati ai nonni. "Genitori che hanno perso la figlia in questo modo, con quale lucidità possono seguire il nipote? Ci vogliono dei professionisti che, fin dal primo momento, mettano in atto tutta una serie di misure per questi minori. Io collaboro con un’associazione, ‘A braccia aperte’, che da qualche anno assiste sei ragazzi, orfani di femminicidio, che ora hanno tra i 17 e i 19 anni. Alla domanda se volessero essere riaffidati ai loro nonni, quattro su sei hanno risposto di no. In alcuni casi erano diventati loro i caregiver. È impensabile non offrire un sostegno psicologico a tutte le persone coinvolte in queste vicende. Stiamo parlando di bambini a cui è stata rubata una cosa preziosissima: la serenità”.

L’associazione Olga

Ad aprile del 2024 Giuseppe Delmonte ha fondato l’associazione Olga, in onore di sua madre, per "educare contro ogni forma di violenza". Lui ne è il presidente, ma è affiancato da una squadra ‘fortissima’, come lui la definisce, formata da psicoterapeuti, avvocati penalisti, forze dell’ordine, specialisti in diritti umani.

Molti gli incontri promossi nelle scuole, di cui Giuseppe parla con orgoglio e soddisfazione per il riscontro ricevuto. Raccontare la sua storia ai ragazzi è un modo per aspirare a un vero cambiamento, in attesa che anche le istituzioni decidano di colmare i troppi vuoti che ruotano intorno alle vittime collaterali del femminicidio.

“Manca la formazione, manca il dialogo tra le istituzioni, manca una presa in carico immediata, mancano tante cose. L’acronimo di Olga è ‘Oltre Alla Grande Assenza’ di tutte queste cose che ho elencato c'è l'associazione”.

Giuseppe Delmonte svela anche il prossimo progetto promosso dall’associazione. “Istituiremo un fondo, con Donna Moderna come media partner, che si chiamerà ‘Il Sogno di Olga’. È una borsa di studio universitaria”. 

La prima serata di raccolta fondi si svolgerà a Milano, ma ci saranno altri eventi durante l'anno.

“Spesso, quando arriva il momento di dover andare all'università, i nonni di questi orfani di femminicidio o non ci sono più oppure non sono nelle condizioni di affrontare una spesa simile. A me è stato tolto questo sogno e non voglio che succeda anche ad altri”.

 

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Mariangela Celiberti
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